Barth sulla giustificazione (terzo articolo su Barth)

Karl Barth, ricalcando quanto detto dai Riformatori Lutero e Calvino, insegnò che la giustificazione è per sola fede, ma sulle labbra di Barth né “giustificazione”, né “fede” (e forse neanche “sola”) significavano quello che Lutero e Calvino intendevano. Nel 1964 la Thomas Nelson & Sons pubblicò un libro del teologo cattolico romano Hans Küng, giustificazione: la dottrina di Karl Barth e una riflessione cattolica. Küng scrisse: “Non c’è alcuna differenza sostanziale tra la posizione barthiana e quella cattolica.” Barth elogiò il libro di Küng in una lettera a lui indirizzata che venne stampata nello stesso libro, perché Küng, così Barth scrisse, comprendeva la sua dottrina della giustificazione come Barth voleva fosse compresa. E quale era quella comprensione? Non era nulla di nuovo, era la stessa dottrina della giustificazione avanzata nel diciannovesimo secolo dal vescovo anglicano diventato cattolico, il cardinale John Henry Newman.
Nelle parole di Hans Küng:

“La dichiarazione di giustizia di Dio è, come dichiarazione di giustizia di Dio, allo stesso tempo e nello stesso atto un “rendere” giusto… Il temine “giustificazione” come tale esprime una effettiva dichiarazione di giustezza e non un rinnovamento interiore. Ne conseguirebbe quindi che la dichiarazione di giustizia di Dio non implichi un rinnovamento interiore? Al contrario, tutto si riduce a questo, che è una questione di dichiarazione di giustizia da parte di Dio e non da parte dell’uomo: è la pronuncia fatta dal Signore forte e potente. Diversamente dalla parola dell’uomo, la Parola di Dio fa giusto, effettivamente e veramente, esteriormente e interiormente, totalmente e completamente. I suoi peccati sono perdonati e l’uomo è giusto nel suo cuore”.

Lo stesso Barth Scrisse:

Certamente abbiamo a che fare con il “dichiarare giusto”, ma è una dichiarazione riguardo l’uomo che è compiuta e perciò è efficace in questo evento, che corrisponde a realtà perché crea e perciò rivela la realtà. È un “dichiarare giusto” che senza alcuna riserva può essere chiamato “rendere giusto”.

Barth non solo non si poneva nella tradizione riformata, ma ne era di fatto un avversario. Egli rigettò il Sola Scriptura, Sola Gratia, Solo Christo, Sola Fide e allo stesso tempo sorrideva con quelle parole sulle labbra. È impossibile credere che Barth non sapesse quello che stava facendo, come hanno suggerito alcuni dei suoi difensori, che lo hanno elogiato per la sua padronanza della storia della teologia. Quindi Barth era senz’altro al corrente dell’origine della sua dottrina della giustificazione, e i suoi difensori gli attribuiscono un livello di stupidità che non è stato mai raggiunto negli annali della teologia. Ma Barth era tutt’altro che stupido, così come sembra che i suoi difensori vogliano far desumere.

Il risultato della sistemica equivocazione di Karl Barth è una sorta di misticismo evangelico; anche se egli usa molte delle parole e delle frasi cristiane, la teologia di Barth non è cristianesimo, ma è, proprio come il modernismo, un’altra religione. Barth è un lupo che bela.

Teologia dialettica

Ma la malafede di Barth non è la sola ragione per l’oscurità della sua teologia, una teologia che è dialettica, che si vanta dell’asserzione di contraddittori, che vede la contraddizione come essenziale per la teologia. Barth dice sempre “Sì” e “No” alle stesse cose, la sua teologia tratta di tesi e di antitesi, senza alcuna risoluzione tra le due. Dio è “totalmente altro” che l’uomo. In Cristo Dio è “totalmente nascosto” e “totalmente rivelato”. C’è un’”infinita differenza qualitativa” tra il tempo e l’eternità, tra Dio e l’uomo, eppure non si può parlare di Dio in astratto. Su questo aspetto, Barth rimase indebitato a Kierkegaard tutta la sua vita. E sempre su questo aspetto, la teologia dialettica di Barth deve giocoforza rimanere opaca a ogni lettore. Nessuna persona può credere alle contraddizioni sapendole tali, ma le contraddizioni e la teologia dialettica sono utili, non solo per confondere i propri lettori, ma anche per permettersi di raggiungere uno scopo senza dichiarare esplicitamente quale esso sia.

La teologia dialettica di Barth gli permise di usare vecchie parole e frasi, frasi e parole bibliche, dando loro allo stesso tempo nuovi, e radicalmente antibiblici, significati. Quello che i liberali aveano compiuto solo in parte con frasi come la “divinità di Cristo” e quello che i cattolici romani avevano operato con termini come “giustificazione”, “chiesa”, “santo” e “grazia”, Barth fu in grado di farlo con l’intero discorso teologico della Riforma. La sua equivocazione non era occasionale e parziale, come nel liberalismo, ma completa, totale, da capo a coda. Barth rese l’equivocazione teologica protestante sistematica e sistemica.
Sebbene la sua teologia fosse deliberatamente incoerente, le azioni di Barth mostravano tuttavia una coerenza di fondo: Barth voleva far spazio nella chiesa e nel mondo all’irrazionalismo e al socialismo. Egli vide Cristo come una “forma del Verbo di Dio”, ed enfatizzò la Cristologia come la chiave per comprendere la “rivelazione”. Ma Barth scrisse pure nella Dogmatica Ecclesiale, “Dio può parlarci mediante il comunismo russo, mediante un concerto per flauto, mediante un cespuglio in fiore, o anche mediante un cane morto. Faremmo bene ad ascoltarlo se lo fa per davvero.” Alla luce di queste affermazioni ci si meraviglia come mai Barth nel 1934 era così preoccupato nella Dichiarazione teologica di Barmen di negare che Dio può parlarci anche mediante Adolf Hitler. La facile risposta, quella risposta che spiega la sua vociferante condanna del nazismo negli anni trenta e il suo deliberato e duraturo rifiuto di condannare il comunismo, e di questo farne persino l’elogio, non è la sua teologia, ma la sua filosofia politica: Barth è stato per tutta la sua vita un socialista di stampo marxista.

Barth il socialista

Anche se le sue vedute teologiche mutarono lungo gli anni, le idee politiche di Barth rimasero sempre le stesse. Era il suo socialismo a dare tinta alla sua teologia, e in modi che i suoi lettori non comprendevano. Nel 1956 Barth spiegò in un’intervista: “Mi decisi per la teologia perché sentivo il bisogno di trovare un miglior fondamento per la mia azione sociale”. La sua teologia era uno strumento da usare per promuovere il suo socialismo, una giustificazione per le sue vedute politiche. Mentre si trovava a Safenwil, Barth era “pastore associato”, secondo il suo biografo. Il “socialismo”, così Barth sosteneva, “è una applicazione necessaria e molto importante del vangelo”. Nel 1916 egli scrisse “l’ordine capitalista e … la guerra (sono) le due più grandi atrocità della vita.” Nella prima edizione del suo commentario ai Romani, scritto durante la prima guerra mondiale, egli dichiarò che sarebbe venuto il tempo in cui “..le ora affievolite braci del dogma marxista arderanno nuovamente come verità mondiale, quando la chiesa socialista risorgerà dai morti in un mondo divenuto socialista”. In “Gesù Cristo e il movimento per la giustizia sociale”, un saggio che Barth pubblicò nel 1911, egli illustrò la relazione tra Gesù e il socialismo:

“Se comprendete la connessione che esiste tra la persona di Gesù e le vostre convinzioni socialiste, e se desiderate regolare la vostra vita per farla corrispondere a questa connessione, allora questo non significa affatto che dobbiate “credere” o accettare questo, quello o quell’altro ancora. Quel che Gesù ha in serbo per noi non sono idee ma un modo di vivere. Si possono avere idee cristiane su Dio, sul mondo e sulla redenzione umana, e nonostante tutto questo essere un completo pagano. Mentre si può esser benissimo un genuino seguace e discepolo di Gesù da ateo, da materialista, e da Darwinista. Gesù non è la concezione del mondo cristiana e la concezione del mondo cristiana non è Gesù.”

Questo della separazione tra “Gesù” e le idee è un motivo che accompagnò Barth per tutta la sua vita, in qualunque forma prendesse sua teologia. Barth non sfuggì mai all’influenza di Schleiermacher, e la sua concezione della rivelazione come “evento” o “avvenimento” (happening) piuttosto che come informazione o idee può essere ricondotta alle affermazioni citate qui sopra.
Barth attaccò con decisione tanto il capitalismo quanto l’ordine della proprietà privata, e scrisse spesso della “lotta di classe”:

La contraddizione di classe, dice il socialismo, è il crimine quotidiano del capitalismo. Questo sistema di produzione deve perciò cadere, specialmente il principio che ne è alla base: la proprietà privata, non la proprietà privata in generale, ma il possesso privato dei mezzi di produzione… la sconfinata competizione tra produttori individuali deve cadere, e lo stato, nel suo insieme, deve esso stesso diventare il produttore e pertanto il possessore dei mezzi di produzione. Gesù è più socialista dei socialisti… La concezione della proprietà privata di Gesù è questa: La proprietà è peccato, perché la proprietà è la ricerca della propria autorealizzazione.

Va da sé che quest’ultima affermazione logicamente implica una condanna della proprietà privata in generale, e non solo dei mezzi di produzione. E siccome il socialismo è definito come la proprietà comune dei mezzi di produzione, Barth si qualifica come socialista in entrambi i casi e come cristiano in nessuno dei due.

Barth il comunista

Spostandoci in avanti nel tempo di quasi quarant’anni, troviamo Barth elogiare le buone intenzioni dei comunisti e addirittura gli specifici dittatori comunisti, come Stalin, il macellaio dell’Ucraina. Scrivendo ne “La Chiesa tra Est e Ovest” (1949), Barth difese il suo vociante anti-anti-comunismo:

“.. e ha attinenza non omettere, nella nostra concezione del comunismo contemporaneo, di discriminare tra le sue atrocità totalitarie come tali e la positiva intenzione dietro di loro. E nel cercare di farlo, non si può certo dire del comunismo quello che si è per forza di cose detto del nazismo dieci anni fa, ovvero che ciò che questo significava e intendeva era pura irragionevolezza, il prodotto della follia e del crimine. Sarebbe davvero assurdo mettere sullo stesso piano la filosofia del marxismo e l’”ideologia” del terzo Reich, menzionare un uomo della statura di Iosif Stalin con gli stessi toni di ciarlatani come Hitler, Göring, Hess, Goebbles, Himmler, Ribbentrop, Rosenberg, Steicher, etc. Quella intrapresa nella Russia Sovietica, quantunque con mani sudicie e sanguinose, e in un modo che giustamente ci sconcerta, è dopotutto un’idea costruttiva, la soluzione di un problema, un problema serio e scottante anche per noi, con le nostre mani pulite che non hanno ancora affrontato nulla di simile in modo sufficientemente energico: il problema sociale.

In una successiva flagrante affermazione, Barth dichiarava che il comunismo non era, e per sua stessa natura, non poteva essere anticristiano:

Nella sua relazione col cristianesimo, il comunismo, in distinzione dal nazismo, non ha fatto e per sua stessa natura non può fare una cosa: non ha mai fatto il più timido tentativo di reinterpretare o falsificare il cristianesimo, o di celarsi sotto il mantello del cristianesimo. Non c’è nulla del falso profeta in esso. Non è anticristiano.

Infine, scrivendo nel 1963 al teologo comunista Cecoslovacco suo amico, Joseph Hromadka, Barth si lamentava del fatto che proprio lui, Barth, era stato accusato di simpatie pro-comuniste perfino da teologi liberali come Emil Brunner e Reinhold Niebuhr. Dopodiché difese il suo imperituro socialismo:

Ho tuttavia sempre alzato la voce con coerenza come oppositore dell’anticomunismo occidentale, e in particolare di quello svizzero, contro la guerra fredda, l’armamento atomico, e dieci anni fa contro la remilitarizzazione della Germania occidentale.

Malgrado le sue parole apparentemente ortodosse, l’impresa teologico-dialettica di Barth fu sempre plasmata dalla sua pregressa e duratura devozione al socialismo. Egli scelse la teologia come base per la sua azione sociale: la teologia del diciannovesimo secolo non avrebbe potuto farlo, nell’opinione di Barth una nuova teologia era quindi necessaria.

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