“Teologi liberali” ovvero predicatori di una religione inesistente

Il 31 luglio 2015 la Facoltà di Teologia di Neuchâtel, Svizzera, cesserà le sue attività a causa del numero troppo esiguo di studenti. La prestigiosa facoltà ha origine dall’attività svolta da Guglielmo Farel, il riformatore che ebbe un ruolo decisivo nell’adesione dei Valdesi alla Riforma e che fu presente al Sinodo del 1532, quando la decisione fu presa.

La chiusura della facoltà è davvero emblematica dei tempi che viviamo ed è forse una notizia meno peggiore rispetto al totale stravolgimento dell’Evangelo che viene perpetrato in altre facoltà.
In tempi recenti ha suscitato scalpore, almeno in certi ambienti, l’asserzione di qualche pastore che Gesù fosse semplicemente un uomo, al massimo un profeta itinerante. Francamente una simile dichiarazione non è poi così nuova né così sorprendente da dover sollevare una grande impressione. Già fin dall’illuminismo – forse sarebbe più corretto dire dai tempi di Celso (II secolo) e della polemica antica anticristiana – i vangeli sono stati considerati non come racconti storici, ma come manuali apologetici, scritti per diffondere la tesi della messianicità di Gesù. Per Voltaire (1694-1778) i vangeli sono opere piene di miracoli assurdi, composti da cristiani sparsi nelle città greche. Voltaire esprimeva il suo giudizio partendo dalla convinzione che la “Ragione (con la “r” ovviamente maiuscola) avrebbe spazzato via le superstizioni fondate sui miracoli assurdi, avviando l’umanità verso la tolleranza e la verità fondate sul raziocinio e la ragionevolezza.

Nella cultura cosiddetta “post-moderna” è, però, proprio la nozione di “verità” ad essere diventata problematica. La “crisi della ragione” riduce il tema della verità ad un processo interpretativo che non può non constatare la dissoluzione della verità medesima in una successione di procedure che richiamano la “debolezza e caducità” della rappresentazione speculativa della verità. La relazione tra parola parlata e parola scritta fa risaltare l’incolmabile differenza che sussiste tra chi ha parlato e chi ha scritto. Questa differenza evidenzia sia l’ambiguità dei testi scritti, sia l’impossibilità di giungere ad una interpretazione definitiva e normativa.

In un simile quadro, qualsiasi tentativo di schizzare e modellare una qualche forma di rilettura, demitizzazione umanizzante, reinterpretazione ed esegesi, atte a conquistare l’interesse dell’uomo contemporaneo, sono votate al fallimento perché la cultura contemporanea ha tagliato alla radice una simile possibilità, rendendo un qualsivoglia principio di verità non solo impossibile, ma praticamente inutile. Eventuali “religioni gesuane”, suonerebbero incomprensibili ed anacronistiche soprattutto quando le si vorrebbero mettere a fondamento di una non meglio precisata solidarietà quale espressione primaria dei gruppi umani e sociali. Come l’identità sessuale è frutto di una scelta culturale e non di un dato naturale, anche la solidarietà è corollario del momento, legato a sua volta a circostanze occasionali, difficilmente destinate a riprodursi in modo durevole.

Vi è inoltre un aspetto che sembra sfuggire ai rappresentanti di molte correnti teologiche attuali: queste persone – si pensi ad esempio al vescovo John Shelby Spong (1931-vivente), pur animate da zelo, nella loro fretta di liquidare il teismo, la storia biblica della creazione, la resurrezione, l’etica oggettiva ecc. -non si rendono conto di predicare una religione inesistente, fondata sul nulla, la quale non essendo più Cristianesimo, è semplicemente il risultato di astrazioni soggettivistiche condizionate dalle mode intellettuali del momento. Avvalorare il concetto della Bibbia quale libro superato dal progresso scientifico e culturale, porta ad un paradosso estremo che era già stato ben sintetizzato da Paolo: “…e se Cristo non è risuscitato vana dunque è la nostra predicazione… se i morti non risuscitano mangiamo e beviamo, perché domani morremo“(1 Corinzi 15,14 e 32). Si potrebbe obbiettare che noi oggi abbiamo i mezzi per capire Paolo meglio di come egli abbia capito se stesso (Bultmann).

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un paradosso: o (nel senso di aut!) i resoconti biblici hanno trasmesso una tradizione orale autentica tramandata da persone oneste ed affidabili o (aut!) il Gesù storico era uno spostato autoilluso finito tragicamente ed i suoi seguaci, di conseguenza, sono stati dei fanfaroni, disonesti, propalatori di una storia inverosimile. Di fronte a questo dilemma, non c’è cultura post-moderna che tenga, come non c’è reinterpretazione, demitizzazione, aggiornamento culturale che funzioni. Chi vorrebbe accreditare la distinzione tra Gesù e il Figliuol dell’uomo, mediti bene su quanto detto in Matteo 7,22: “Molti MI diranno in quel giorno…“, Gesù si autoproclama Giudice e attore principale del giudizio finale. Caro lettore medita attentamente sul quel “MI”.

Giovanni Borelli

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