Una Teoria del Tutto, invocata a spiegare una piccola singolarità locale

Sul recente articolo di Paolo Castellina ci scrive Ignazio Di Lecce, membro di Chiesa Valdese e autore di numerosi articoli su tema religione e cultura. Di seguito, la risposta di Paolo Castellina.

Così potremmo definire l’intervento del past. Paolo Castellina Cappellani della nuova religione, se un po’ scherzosamente decidessimo di adottare il linguaggio della Fisica teorica per descrivere il parallelismo che si intende istituire fra la chiamata alle armi degli innamorati della “Tradizione”, fatta dal filosofo Marcello Veneziani in un articolo del 27/5 u.s. sul Giornale, e le ragioni di costituzione della associazione “Sentieri Antichi Valdesi”, recentemente istituita per ripensare “in modo intelligente i principi della tradizione, nel nostro caso il Protestantesimo classico della Riforma detta calvinista”.

Temo che il parallelismo proposto dal past. Castellina fra la “Tradizione” evocata da Veneziani e la “tradizione del Protestantesimo classico della Riforma” sia in sé talmente problematico, talmente divergente negli orizzonti che la sua liceità costituisce una tesi dalla difficile dimostrabilità e non certo un perno logico su cui articolare l’argomentazione. A una lettura superficiale, può sfuggire quella lettera “t” che da maiuscola in “Tradizione” si fa minuscola in “tradizione protestante”; ma non si passa, come se niente fosse, da Evola al calvinismo, se non rischiando grossi equivoci.

Temo ancora di più che l’articolo di Veneziani sia già di per sé un polpettone indigeribile, una Teoria del Tutto in cui si cerca di connettere logicamente fanatismi suicidi, ideologie postmoderne che iperdilatano le dimensioni dell’Io fino a renderlo una fabbrica del desiderio, imperdonabili confusioni fra crollo del comunismo e crisi della socialdemocrazia, negazioni delle nuove trasformazioni sistemiche del capitalismo, ma soprattutto ignoranza del dato epocale da cui non si potrà mai più recedere, cioè la scomparsa irreversibile delle tradizionali società a compartimenti stagni e il sorgere di una nuova società globale, immane sovvertitrice di ogni ordine preconfezionato e consolatorio la cui tremenda sfida è una continua e proteiforme creazione di forme sociali cangianti e meticce, che sarà possibile governare solo se si partirà dalla profonda comprensione del significato della nuova dimensione “plurale”.

Nessuna forma di pensiero tradizionalista, più o meno risalente al momento della rottura dell’ordine di antico regime, avrà mai la minima possibilità di capire tutto ciò. Di fronte a guazzabugli come l’articolo di Veneziani si resta sconcertati da come la complessità di fenomeni e problemi epocali venga appiattita in una critica di banali fenomeni di costume da un pensiero che ignora la dimensione tellurica e si limita all’osservazione di ciò che avviene nel cortile di casa, come le manifestazioni di un piccolo moralismo di formule politicamente corrette. L’effetto caricaturale è l’unico esito possibile. Soprattutto in questo esangue pensiero della Tradizione non ci sarà mai spazio per la comprensione della rottura irreversibile che la Riforma ha compiuto rispetto alle troppo ordinate forme sociali tradizionali, per le quali i “Tradizionalisti” provano una forma irriducibile di nostalgia paralizzante. Pertanto essi non potranno mai cogliere il senso della sfida affascinante di un monaco che ha rivendicato per la sua coscienza un ruolo nuovo nell’interpretazione della Bibbia anche contro l’autorità e la tradizione, se necessario, naturalmente sulla base di una preparazione profonda, assolutamente non improvvisata o indulgente verso relativismi psicologici. Tanto è vero che De Maistre, padre del pensiero reazionario, in più luoghi ha indicato esplicitamente nella Riforma protestante l’inizio di tutti i mali.

Posso riconoscere che la teologia neoliberale debba essere sottoposta ad un’azione critica che denunci certi mescolamenti di piani o scorciatoie sociologiche, ma mi rifiuto di ammettere che l’eccezione che la chiesa valdese riesce obbiettivamente ancora a rappresentare nell’ambito della società italiana sia riducibile al quadro che ne fa il past. Castellina adattandole una risibile Teoria del Tutto, anzi pretendendo che il microcosmo valdese, questa singolarità anomala nella società italiana, sia invece la miniatura perfetta del mondo circostante in preda a una presunta nuova “religione bioetica”. È una metafora che proprio non regge.

La scelta di Veneziani di definire “bioetica” questa supposta nuova religione è proprio la spia di quanto questo pensiero sia profondamente reazionario verso i problemi e le istanze create dalle profonde novità storiche (come le conquiste della scienza) che costituiscono opportunità e problemi oggettivi ed ineludibili che, in quanto terreno di contrattazione e confronto e non manifestazioni diaboliche, non possono non costituire luogo di nuovi e profondi interrogativi per la coscienza dell’uomo, anche, e soprattutto, religiosa. Teniamo ben presente la lezione di un pensatore non credente come Habermas sul prezioso apporto che le comunità religiose possono assicurare al dibattito pubblico.

La “Tradizione” disprezza l’umanità reale in nome della difesa di ideologie di potenza mascherate da valori fuori dal tempo e, nella circostanza, si propone come ruota di scorta delle pretese di controllo della società italiana per via etica da parte della gerarchia cattolica. Se non cogliessimo il senso di questa grande partita strategica che il cattolicesimo ha iniziato, non avremmo speranze di collocare su una rotta corretta il fragile vascello del protestantesimo italiano; anzi la sua predicazione risulterebbe ridotta a fiacche formule retoriche di richiamo a un passato caricaturizzato, quindi mai esistito, a causa di equivoci e limiti di natura culturale.

La tradizione di Ginevra, a cui il past. Castellina si ispira e ci richiama, è troppo ricca per essere costretta in uno spazio così angusto in cui non potrebbero trovare respiro neanche chiesette di derivazione risorgimentale che più che a Ginevra guardino a Plymouth. Per quanto noi valdesi dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che anche la nostra chiesa semper reformando est, non possiamo credere che lo sbocco degli antichi sentieri valdesi possa essere lo squallore paralizzante dell’ideologia di Veneziani.

Ignazio Di Lecce

 

Risponde Paolo Castellina

Questa replica del signor Di Lecce, sotto l’aspetto di una raffinata ed apparentemente oggettiva analisi delle argomentazioni dell’articolo, mi appare solo espressione di una ben nota tecnica retorica tesa a discreditare le tesi dell’avversario con argomentazioni fallaci che di fatto deviano l’attenzione del lettore ed evadono sostanzialmente la questione originalmente affrontata. Secondo me, infatti, è la tipica argomentazione denominata “uomo di paglia” che consiste nel confutare un argomento riproponendolo in maniera sviante. In una discussione, cioè, si sostituisce all’argomento A un argomento B simile ad A e si confuta e si discute l’argomento B invece che l’argomento A iniziale, che in questo modo viene lasciato intaccato. Se l’operazione retorica riesce (ma in questo caso non è così) sembrerà che l’avversario sia riuscito a smontare l’argomento A.

La replica, innanzitutto, tende a discreditare il Veneziani cercando di “spiegare” quelli che il Di Lecce percepisce essere i presupposti delle argomentazioni del Veneziani, vale a dire i giammai menzionati Evola, Maistre ed il concetto di Tradizione dell’integrismo cattolico, autori e concetti che si suppone infamanti o comunque atti a suscitare, menzionandoli, la riprovazione del lettore. Di questo, nell’articolo originale, però, non c’è traccia: di fatto si tratta solo di una discutibile supposizione del signor Di Lecce, al quale probabilmente non è conveniente rispondere alle argomentazioni oggettive dell’articolo.

“Stabilito” questo fatto, Di Lecce passa poi a “dimostrare” come il “vero” Protestantesimo con tutto questo non abbia nulla a che fare. Si tratta però del Protestantesimo come interpretato tipicamente dalla teologia liberale e neo-liberale (come pure dalla pseudo-ortodossia barthiana) interpretazione che viene fatta passare come autentica e “scontata” (il che non è affatto). Nella replica, per esempio, si parla dell’esperienza di Lutero come di una liberazione della coscienza, cosa che però interpreta nei termini dell’umanesimo moderno, mentre, sebbene Lutero si fosse liberato delle catene della tradizione del Cattolicesimo romano, di fatto egli dichiara la sua coscienza essere legata indissolubilmente alla Parola di Dio (all’autentica tradizione apostolica che ne deriva), cosa che oggi sarebbe considerata come “fondamentalismo”. Altro esempio è l’interpretazione che il signor Di Lecce dà della Ginevra calvinista che egli vede nella sua “ricchezza”, considerata andare ben oltre all’ortodossia dello scolasticismo protestante e da quella che considera una certa “mitologia” sostenuta oggi da “certi ambienti”. Anche in questo caso la “ricchezza” di cui parla è intesa nella sua evoluzione posteriore al tempo della Riforma, vale a dire, ancora una volta, il liberalismo teologico, che il Di Lecce considererebbe un progresso, ma che noi intendiamo come un’involuzione e un’apostasia. Il tutto, poi, è teso pure a discreditare il sottoscritto e chi lo sostiene, che il Di Lecce vorrebbe associare non tanto a “Ginevra”, ma a “Plymouth” (leggi movimento dei Fratelli), un modo elegante per non darci dei “rozzi fondamentalisti”, appellativo che altri non avrebbero remore ad usare nei nostri riguardi. Fra parentesi, il Di Lecce presume che la nostra interpretazione “soffocante” del Calvinismo, mal si presterebbe alle chiese italiane prevalentemente “risorgimentali”, ignaro (convenientemente?) che il la teologia riformata classica (detta neo-calvinismo) è in pieno e dinamico risveglio oggi in tutto il mondo (Italia compresa) e questo in diverse denominazioni.

Il Di Lecce sembra, infine, molto entusiasta degli sviluppi contemporanei della globalizzazione e dello scientismo, che egli vede come stimolanti sfide ad una rivoluzione delle idee e delle prospettive che le chiese, secondo lui, dovrebbero raccogliere e che, naturalmente, la moderna chiesa valdese si farebbe interprete o ambirebbe a farlo. Di Lecce non si avvede che in questo egli conferma esattamente ciò che l’articolo originale intendeva denunciare e la sua stessa replica diventa, così, in negativo, un’utile ed inaspettata testimonianza.

Ecco, così, che chi si oppone a tutto questo “entusiasmante sviluppo” viene naturalmente considerato “un reazionario” della peggiore specie da evitare e da isolare, e soprattutto “un illuso” perché detto sviluppo, la sua “marcia trionfale” è considerato inevitabile. Sembra di udire in sottofondo il motto dei Borg, una specie cyborg dell’universo fantascientifico di Star Trek, che ambivano a dominare l’universo assimilando tutto e tutti nel loro fantasticamente razionale sistema, e che recita: “Voi sarete assimilati, ogni resistenza è futile”. Il fatto sta, però, che i Borg vengono contraddetti e sconfitti, pur rimanendo un nemico temibile ed insidioso. I Borg sono un prodotto della fantasia, ma reali sono le insidie degli esponenti del liberalismo teologico internazionale (e italiano) di cui l’attuale Chiesa valdese si vuol fare portavoce. I suoi principali esponenti, infatti, si propongono apertamente di sovvertire (come di fatto continuamente fanno) ogni articolo del Credo apostolico e delle Confessioni di fede della Riforma, sostituendolo con “gli ultimi ritrovati” dello scientismo e dell’antropologia umanista, e questo con il loro “approccio critico” che tutto mette in questione con lo stesso decadente intellettualismo di cui la replica del Di Lecce è tipico esempio. Non tutti, però, sono degli allocchi che se ne lasciano sedurre.

Insomma, avere citato un “intellettuale di destra” come M. Veneziani è stato sicuramente da parte mia un “peccato mortale” che per i prevenuti ambienti “tradizionalmente di sinistra” dell’attuale chiesa valdese è imperdonabile, suscita scandalo e riprovazione e quindi, agli occhi di chi vorrebbe essere portavoce del “progressismo” mi squalifica. No, la “morale della favola” è che per alcuni “non è possibile” simpatizzare per la destra ed essere protestante: esserlo vuol dire “non aver capito” oppure essere in malafede, o comunque essere falsamente protestanti. È il risultato dell’assolutismo del “pensiero unico” di quegli ambienti, oggi prevalente. Non rimarrà però incontrastato, non si facciano illusioni! Pure il loro falso vangelo sarà smascherato.

1 commento

  1. – Salve,volevo sapere il palnesisto del Dizionario dei sentimenti di Franco Simone su TELERAMA.Mi e8 capitato per caso di vedere questa domenica mattina una replica iniziata circa alle 10:50, (finita poco fa).Un fuori programma o sare0 consuetudine?Sapevo degli appuntamenti:- DOMENICA alle 24:00- LUNEDI’ alle 18:30Attendo notizie in merito, per comunicarle anche agli altri fans, soprattutto a chi si collega dall’America Latina.Grazie e buon lavoro!

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