LA CHIESA VALDESE È DEMOCRATICA, ANARCHICA, OLIGARCHICA O AUTORITARIA? (4a parte)

Sono stati i non eletti ad approvare le benedizioni

Nelle puntate precedenti abbiamo visto che nella nostra Chiesa Valdese, che immaginiamo, definiamo e desideriamo democratica, vi sono aspetti anarchici e persino autoritari.

Ci viene segnalato un altro aspetto, alla fine forse decisivo. Leggendo la nostra rubrica “Episodi di storia valdese narrati da Gilly” qualcuno è rimasto colpito dal fatto che nel 1823 i pastori erano solo 13. E ha aggiunto: “Se non sbaglio, dagli anni ’70 alcuni pastori vengono privati a turno del diritto di voto nel Sinodo, in modo da non superare la metà dei membri del Sinodo stesso”. Ma questo vuol dire due cose: 1) prima di quella modifica regolamentare evidentemente i pastori erano addirittura la maggioranza assoluta dei membri del Sinodo, e dunque i membri eletti erano meno della metà: non è una cosa molto democratica; 2) ai tempi di Gilly, appena 150 anni prima, la maggioranza doveva essere fatta di membri eletti, dunque eravamo molto più democratici”. Sarà vero? Si potrà controllare? Sembra di sì, ma per ora abbiamo solo alcuni dati, ma molto indicativi.

C’è poi un altro elemento: un tempo i pastori erano tutti eletti e eletti per davvero. Non mancano, in tutti i secoli di cui abbiamo testimonianza, esempi addirittura di elezioni contestate, annullate, pastori cacciati prima del termine, pastori che non venivano richiesti da alcuna comunità… Insomma, se anche i pastori fossero stati la maggioranza del Sinodo, erano pur sempre scelti, non si trattava di un gruppo nel quale è facile entrare e dal quale si esce solo per propria scelta. Oggi, invece, per regolamento, alcune chiese di minori dimensioni non scelgono i propri pastori e devono prendere chi gli viene mandato. E anche quelle che hanno il diritto di sceglierli, ormai – di fatto – devono “eleggere” l’unico pastore disponibile, perché – nonostante siano più di novanta, è rarissimo che ce ne siano due. Saremo grati a chi ci segnalasse se ricorda una vera elezione, ovvero una scelta fra due o più nomi. Fra di noi della redazione nessuno ne è stato capace.

Dunque, su 180 membri del Sinodo 90 sono pastori e 90 sono eletti. Sembra evidente che, ove ci fossero questioni che contrappongono “laici” e pastori, questi ultimi potrebbero facilmente vincere convincendo – con la loro riconosciuta autorevolezza – anche uno solo dei 90 “laici”. Ma non basta: l’articolo 1B del Regolamento Generale del Sinodo prevede che un diacono su sette, a turno, sia membro del Sinodo con diritto di voto. Quanti sono i diaconi? Evidentemente, almeno 7. Dunque almeno 91 su 180 membri del Sinodo non sono eletti da nessuno e sono membri di diritto. Non solo non sono eletti, ma dipendono della Tavola per una serie di ragioni, a cominciare dal fatto che essa è il loro datore di lavoro.

Il Sinodo, dunque, anche se somiglia a colpo d’occhio e per le sue procedure a un consiglio comunale, o piuttosto a un parlamento, è un organo in gran parte non eletto, mentre tre secoli fa, quando in Europa vigevano le monarchie assolute, accadeva il contrario. Non è questo un aspetto fortemente oligarchico ? In sé, sì. Prendiamo il Senato italiano: ha 7 senatori a vita, non eletti, eppure si può definire democratico. Intanto perché 2 di quei 7 sono ex presidenti della Repubblica, a suo tempo eletti dai parlamentari, eletti dal popolo, e poi perché ci sono 315 senatori eletti, quasi il 98%. Certo, se i senatori a vita nominati fossero 91 e gli eletti 89, sarebbe un’altra cosa.

In teoria non ci dovrebbe essere contrapposizione tra membri di diritto ed eletti. Ma guardiamo il voto dell’anno scoro sulle benedizioni alle coppie omosessuali. Dei 90 pastori, abbiamo notizia solo di 3 che hanno espresso il loro dissenso: Samuel Kpoti, un altro di cui ci sfugge il nome, e Franco Giampiccoli, che chiese di rinviare la decisione. Non sappiamo come esattamente abbiano votato (contrario, astenuto, o non voto) ma supponiamo che tutti loro e addirittura altri 6 abbiano votato contro le posizioni della Tavola dalla quale dipendono (e cioè che tutti i no siano stati di pastori, cosa inverosimile). Possiamo ipotizzare questo quadro, sottolineando che le due ultime righe sono un’ipotesi:

 

Totale

Voto Sì

Voto No

Astenuti

Non voto

Totale Sinodo

180

105

9

29

37

Pastori + diaconi

Almeno 91

81

9

0

0

“Laici”

Non più di 89

24

0

29

37

Ne deriva chiaramente che il 73% degli eletti non ha votato per le benedizioni! E la nomenklatura ha il coraggio di parlare di decisione a “larga maggioranza”. Sì, a larga maggioranza dei non eletti! L’unica alternativa possibile è che decine di pastori abbiano avuto il coraggio di votare contro la Tavola ma siano stati zitti durante e dopo il Sinodo.

In conclusione, potremmo dire che la Chiesa Valdese ha notevoli elementi democratici, ridotti nel corso dei secoli. Aspetti anarchici sorti negli ultimi decenni, che però sono talora funzionali ad aspetti molto vagamente autoritari quando sono i vertici a minare le regole. La forma dominante, paradossalmente “maggioritaria”  finisce per essere quella oligarchica. Un centinaio di persone, non scelte da nessuno se non – una volta per tutta la vita – dai professori della Facoltà di Teologia (i pastori) o dalla Tavola (i diaconi), le uniche impegnate a tempo pieno, hanno il potere di decidere per tutti. Questo potrebbe anche essere accettabile: la Chiesa non è uno stato e non ha bisogno di avere i requisiti di ammissione all’Unione Europea e la Chiesa Cattolica è una monarchia assoluta, sia pure eletta da un piccolo collegio di cooptati. Il problema è che questo potere di decisione viene fortemente esercitato. E non solo con la forza dei numeri, ma attraverso la censura sul settimanale delle chiese, e ora addirittura precludendo al pubblico di assistere ai lavori, in particolare rendendo segreto il voto.

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