Da ‘Riforma’ via libera alla fabbrica degli orfani

Abbiamo già parlato del Riforma del 27 febbraio per l’abbondanza di notizie di argomento gay, sempre accuratamente prive di riferimenti di fede o di Bibbia, a dimostrazione di qual è il vero centro dell’attenzione per questo settimanale. La quinta di queste notizie è anche la più ampia: un articolo dell’avvocato Sergio Gentile. Il titolo, “Adozione di coppie omosessuali: l’interesse del minore deve prevalere”, è molto chiaro per tutti coloro che hanno familiarità con gli slogan omosessualisti, non per chi lo legge per ciò che le parole significano. È “interesse di un minore” non avere un padre, o non avere una madre? Per una persona di buon senso la risposta sembrerebbe “no”, o per lo meno ci dovrebbero essere grossi dubbi. E chi la pensa così, magari salta subito alla frase conclusiva dell’articolo, che lo conforta: “troppo spesso ci si dimentica che esiste il diritto dei bambini di crescere in una famiglia e che l’adozione è uno strumento per attuare questo diritto e non per soddisfare i bisogni degli adulti”.

Un articolo di Riforma che difende la famiglia? Incredibile? Infatti non è vero, perché in realtà va in direzione opposta!

Va innanzitutto precisato che l’avvocato Gentile è altamente titolato per affrontare la materia, qualificandosi come membro della commissione battista-metodista-valdese “Fede e omosessualità”. I nostri lettori dovrebbero essere sollevati nel sapere che l’unico accenno alla “fede” è per l’appunto la menzione del nome della commissione di cui l’autore del pezzo fa parte. Dico che dovrebbero essere sollevati perché Gentile, per lo meno, a differenza di altri esponenti valdesi, non ci viene a raccontare che le sue idee sono “bibliche al cento per cento”, come disse la moderatora Bonafede a proposito delle benedizioni liturgiche delle coppie dello stesso sesso.

Si parte da due fatti. Il primo a Roma. Due donne hanno una relazione sessuale fra di loro dal 2004, e una di loro, “in pieno accordo con la partner” intraprese una gravidanza usando il seme di qualcuno di cui non sappiamo nulla, ma di certo era un uomo. Entrambe le signore si sono occupate della bambina nata con tali procedure e, tra l’altro, nel 2011 si sono “sposate” in Spagna. Ora, colei che non è la madre ha chiesto (e ottenuto attraverso la sentenza di un tribunale di Roma) di diventare madre adottiva della piccola, che così ha ora due “madri”.

Il secondo caso, a Torino. Due donne, una italiana e una spagnola avevano ottenuto un figlio, ovviamente con il seme di un uomo, con l’accorgimento che l’ovulo fecondato in laboratorio non è stato impiantato nell’utero di colei dalla quale proveniva, ma in quello dell’altra donna. Le due erano “sposate” in Spagna e in seguito hanno “divorziato”. Per la legge italiana, il figlio è legittimamente della donna che lo partorisce, ma l’altra donna ha chiesto e ottenuto un tribunale di Torino, di vedersi anch’essa riconosciuta come “madre”, benché la relazione con la madre legale sia ormai finita. Perciò avrà il diritto/dovere di occuparsi anche lei del piccolo.

Dove starebbe l’interesse del minore in queste due sciagurate sentenze, e in che senso prevarrebbe sul soddisfacimento dei “bisogni degli adulti”? Dal fatto che così il bambino vedrebbe “riconosciuto un quadro di relazioni genitoriali e, latu sensu, familiari”. Dunque, per le sentenze e, quel che è peggio, per il membro della commissione che detta legge nella chiesa “valdese” di oggi (commissione nella quale la pensano tutti così, visto che è l’unico requisito per farne parte), per “essere genitore” basta avere una relazione sessuale con il vero genitore di un bambino, e di conseguenza si è anche una famiglia.

Già è ampiamente discutibile che queste sentenze siano “nell’interesse del minore”. Nelle caso delle due “divorziate” non c’è alcuna continuità: la vera continuità viene piuttosto garantita alla seconda “madre”. Con questo principio, una coppia (omosessuale, eterosessuale) che rapisse un bambino e poi se ne occupasse, dovrebbe ottenerne l’adozione, perché ormai questo si è abituato a loro. Inoltre, poiché si introduce un concetto di “padre” e “madre” del tutto indipendente dalla procreazione, si apre tranquillamente la porta, per usare gli orribili neologismi oggi di moda, alla “multigenitorialità”: il giorno in cui una di queste quattro donne dovesse intraprendere un’altra relazione, con un uomo o una donna che sia, perché anche questo “nuovo ingresso” non dovrebbe avere il diritto – sempre con l’ipocrita pretesto dell’interesse del minore – ad essere riconosciuto come “genitore”? Lo stesso se si facesse vivo l’uomo “donatore” del seme: vorremmo negargli il titolo di padre, visto che biologicamente lo è? E perché non dovrebbe essere riconosciuto come “genitore” chiunque si occupi per un po’ di un bambino: un maestro di scuola, una zia, un nonno, una baby sitter, un vicino di casa… Insomma, il sistema è: annacquare talmente il concetto da annullarne la sostanza. Se tutti sono genitori e qualunque nucleo di persone è famiglia, in pratica nessuno è genitore e niente è famiglia. È la distruzione di “Onora il padre e la madre”, di “Osservate dunque questo come una prescrizione perpetua per voi e per i vostri figli” (Esodo 12:24 e altri) e di ogni legame familiare, del concetto di Dio Padre, di “Non commettere adulterio”. Salomone, davanti alle due donne che si contendevano il bambino avrebbe dovuto dichiararle “madri” tutte e due, e tutte e tre o quattro se altre se ne fossero aggiunte: era il re, e poteva farlo! Anzi, quell’episodio (1 Re 3) andrebbe riletto come “adozione”: anche lì probabilmente i bambini sono stati generati preordinando che il padre non ci sarebbe stato, essendo entrambe le contendenti delle prostitute e poi una che non è madre, pretende di esserlo perché si è presa il bambino. Certi “teologi” e “teologhe” hanno già detto di peggio, anzi, forse hanno già detto anche questo!

Ma non basta: sentenze come queste (che fanno a pezzi le leggi votate in base alla Costituzione, togliendo il potere legislativo agli organi eletti dal popolo ad opera di signori che hanno la sola legittimazione di aver vinto un concorso pubblico, ma questo è un altro problema) autorizzano una pratica che ha ben poco a che fare con la “adozione”, anzi ne è quasi l’opposto. L’adozione è un istituto antichissimo per dare un padre o una madre, o entrambi, a chi per disgrazia non li ha. Qui si tratta invece si fabbricare apposta degli orfani, privandoli in partenza o del padre o della madre, che pure esistono, in modo da poter soddisfare i desideri di aspiranti “genitori”. Nei casi di cui abbiamo parlato si fa sparire il padre, approfittando di qualche giovane che per qualche soldo o per leggerezza pensa sia bello disseminare il mondo di suoi figli di cui mai si occuperà. Ancora peggio è quando gli aspiranti “genitori” sono uomini, pronti a strappare il bambino alla donna che è loro madre genetica e poi a quella che lo ha partorito: dove è “l’interesse del minore”? E dov’è la dignità della donna, quasi sempre una donna del terzo mondo, usata come incubatrice o fattrice, alla quale è vietato per contratto di curarsi per non danneggiare la “merce”-bambino che è “proprietà” dei due signori maschi che lo vogliono esibire in qualche città occidentale. Mentre allo stesso tempo si rivendica il diritto assoluto della madre di abortire quando e dove vuole? Dove sono finiti la solidarietà, il terzomondismo, e l’interesse del minore?

Qualcuno si occupò davvero dell’interesse dei minori e disse: «È impossibile che non avvengano scandali; ma guai a colui per colpa del quale avvengono! Sarebbe meglio per lui che gli fosse messa al collo una macina da mulino e fosse gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno solo di questi piccoli.” (Luca 17:1-2)

Leonista

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