Che pastori forma la Facoltà di Teologia Valdese?

Riceviamo da un lettore che chiede l’anonimato alcune considerazioni sulla Facoltà di Teologia Valdese di Roma. Le pubblichiamo precisando che sono opinioni e valutazioni personali, che possono essere confutate da altre opinioni. Certo è che ci siamo posti più volte la domanda di cosa davvero si insegni in quel già prestigioso istituto. Come sempre, siamo pronti ad accogliere altre opinioni sull’argomento.

La Facoltà valdese di Teologia di Roma, illustre per aver avuto tra i propri professori esponenti di primo piano della teologia italiana ed europea come Giovanni Luzzi, Valdo Vinay, Alberto Soggin, Giovanni Miegge, Vittorio Subilia e Paolo Ricca annaspa tra gli attuali docenti – non certo di livello eccelso – e i maldestri amministrativi e gestionali. Nell’attuale corpo docente – costretto a subissare i poveri studenti con un programma di esami e corsi obbligatori predefinito per poter insegnare con almeno 5 o 6 persone davanti alla volta – solo il professore di Storia del cristianesimo Lothar Vogel e, forse, l’entrante (dal prossimo anno accademico) Eric Noffke potrebbero ambire a una cattedra universitaria negli atenei pubblici italiani ed europei. Altri – forse – potrebbero ambire a una cattedra liceale, livello dal quale, peraltro, proviene l’attuale decano Fulvio Ferrario. E questo la dice lunga sui maneggi per l’elezione dei professori in Sinodo, maneggi che premiano i più fedeli a certe linee e a certe congreghe che non a criteri di scelta rispondenti ad un maggiore livello di insegnamento e di ricerca. D’altronde, la caduta progressiva di prestigio della Facoltà fin dai decanati dell’ultra-liberale Ermanno Genre è testimoniata dal fatto che nessun nome di rilievo internazionale ambisce ad una cattedra a Roma e anche i seminari intensivi si stanno diradando con la morte fisica di alcuni amici storici, per non parlare del fatto che i sempre più scarsi studenti germanofoni del Centro “Melantone” ospiti della Facoltà sono assai più interessati ai corsi delle Università Pontificie rispetto a quelli della Facoltà valdese, scontati e ripetitivi.

L’omologazione alla teologia liberale è generalizzata e profonda, tanto che persino chi si dichiara barthiano (non parliamo di fondamentalisti e letteralisti) sono regolarmente purgati e indotti al ritiro o laureati con la raccomandazione alla Tavola che non siano mai consacrati pastori. L’ambiente in cui si formano i futuri pastori valdesi è freddo, per nulla pastorale né cristiano, con studenti che devono comunicare con i professori tramite e-mails nonostante abitino nello stesso palazzo di Via Pietro Cossa.

È dunque di fatto la Facoltà che si arroga il diritto di selezionare i futuri pastori, in contrasto a tutto il diritto ecclesiastico valdese: recenti casi di candidati non considerati idonei dalla Facoltà ma apprezzati dalle comunità e nonostante questo defenestrati sono molto evidenti e parlano da soli. All’inverso parla il caso di una candidata arrivata sulla soglia della consacrazione (annunciata da Riforma e mai realizzata), nonostante i suoi notevoli problemi fossero noti e visibili da anni. Se qualcuno non si uniforma, non sta simpatico, è visto come un pericolo. La procedura è la solita: gli si dice che non è adatto, si ostacolano i suoi esami, si esprime un giudizio perentorio alla Tavola, giudizio che da solo vale più di quello di dieci comunità locali.

Anche chi passa indenne questo setaccio ed è considerato inoffensivo o appartenente alla casta (nessuno si sognerà mai di bocciare un figlio o una figlia di pastore o addirittura di una coppia pastorale) è esposto al repentaglio della perdita della fede, recentemente scoppiata anche tra i candidati battisti tra lezioni che irridono la Sacra Scrittura, metodi pseudoscientifici, ateismo metodologico che va bene per un corso di scienze bibliche alla Sapienza ma non per una Facoltà teologica che prepara futuri ministri di culto e predicatori dell’Evangelo. Dall’altra ci sono buone referenze per studenti chiaramente atei, interessati solo a un posto di lavoro tranquillo, non pagato tantissimo ma con notevoli benefit.

Ci sarebbe qualcosa da dire sul personale non docente, dove pare che la parentela conti, ma non approfondisco. Anche la gestione della mensa o del riscaldamento non sembra in linea con quanto poi si professa in altri ambiti.

Voi, membri e contribuenti della Chiesa valdese, sapete queste cose o vi accontentate delle notizie rassicuranti che vi vengono date?

G.P.

Ho letto con grande dolore l’articolo sulla Facoltà Valdese che è stato pubblicato da G.P., perché mio malgrado sono costretto a confermare (per quanto di mia conoscenza) che quanto detto dall’autore corrisponde alla triste realtà della nostra Facoltà. Già più volte ho espresso le mie profonde critiche verso la Facoltà attraverso degli scritti pubblicati su questo sito, preoccupazioni che purtroppo oggi vedo ulteriormente confermate.

Se dobbiamo cercare un’origine del male che affligge la nostra Chiesa, io credo la si debba proprio trovare nella Facoltà Valdese, che prepara Pastori in modo del tutto inadeguato alla predicazione dell’Evangelo. Almeno non a quella “canonica”, in quanto i Pastori che vi vengono formati, oltre che ad essere imbevuti di teologia liberal, come sottolineato dall’autore, mancano altresì di un’autentica vocazione pastorale (capacità di cura d’anime). Non è poi un caso che mentre tra i Battisti i candidati Pastori vengano quasi esclusivamente dalle rispettive comunità, tra Valdesi e Metodisti, quando non sono figli di papà (figli di altri pastori!) sono per la maggior parte persone che prima entrano in Facoltà perché affascinati “dall’ateismo metodologico” qui utilizzato, e poi forse diventano anche membri delle nostre Chiese!

Non voglio tuttavia ripetere il quadro che G.P. ha così dettagliatamente illustrato, ma soltanto testimoniare una volta di più che il cancro che divora la nostra Chiesa parte proprio dal modo in cui sono formati i nostri Pastori, con tutte le conseguenze che vediamo davanti ai nostri occhi.

Nikodemos

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