BONAFEDE E PLATONE GETTANO CONFUSIONE SULLA FAMIGLIA: “MATRIMONIO PER TUTTI, TRANQUILLAMENTE”

Prosegue la martellante crociata gay della Chiesa Valdese

Il 14 marzo, ecco il comunicato del pastore Platone di entusiastico appoggio al documento del Parlamento Europeo che si rammaricava delle “definizioni restrittive” di famiglia vigenti in alcuni stati europei, diffuso sull’agenzia Nev e pubblicato con tanto di foto di due spose in abito bianco sul sito della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia.

Il 21 marzo, in un comunicato stampa, la moderatora Maria Bonafede pretende di allargare il concetto di famiglia ai diversi rapporti affettivi stabili: coppie gay, amiche che condividono l’appartamento, persone sole che si tengono compagnia e si curano, e chi più ne ha più ne metta. E a tutte va riconosciuta la reversibilità della pensione!

Il 23 marzo, nella posizione di maggiore evidenza della prima pagina di Riforma, Platone ribadisce il suo concetto sotto il titolo “Di serie a e di serie B ?”, poggiato su un nuovo ragionamento basato su premesse discutibili e una logica non certo aristotelica (infatti lui è Platone!).

Il 30 marzo, ancora su Riforma, un articolo della Moderatora torna a sostenere le posizioni già espresse nel comunicato del 14.

Vediamo, in particolare, l’articolato ragionamento di Platone che tenta di dare una logica alla linea adottata dalla nomenklatura valdese.

Premessa 1: “A me pare che Dio non sacralizzi mai l’autorealizzazione umana, foss’anche la famiglia”. Per la verità uno dei dieci comandamento è di “onorare il padre e la madre”. Se un comandamento non “sacralizza”, non sappiamo che cosa significa “sacralizzare”, espressione del resto piuttosto vaga. Gesù parla di adulterio con criteri dichiaratamente più restrittivi di quelli di Mosé, l’Antico Testamento è chiarissimo nel comandare di tramandare ai figli la fedeltà a Dio  e così via. Dunque, o “sacralizzare” non significa nulla, o questa premessa è falsa. Ma se fosse vero che la famiglia non è una cosa importante, la nostra chiesa dovrebbe fare il contrario di ciò che, Platone in testa, fa: dovrebbe abolire le cerimonie di matrimonio nei templi, anziché estenderle alle coppie dello stesso sesso e domani a chissà che cosa.

Premessa 2: “il matrimonio per noi non è un sacramento, non è qualcosa di <sacro>: è sostanzialmente un patto tra due persone responsabili che si amano e intendono consensualmente, liberamente e reciprocamente condividere la loro esistenza”. Un’altra definizione vaga che potrebbe adattarsi a qualunque tipo di vita in comune: dal convento alla comune, dal kibbutz all’appartamento condiviso da studenti o da pensionati, o da fratelli, dalla cooperativa alla s.n.c.. Del resto, noi figli del Patto abbiamo il comandamento (quanto difficile da osservare!) di amare il prossimo come noi stessi, dunque il requisito “che si amano” dovrebbe essere dato per acquisito; ci vuole solo più il “consensualmente e reciprocamente ecc.”, che – per l’appunto – è comune a svariate aggregazioni sociali. Il Documento sul Matrimonio ufficialmente in vigore nella Chiesa Valdese, approvato dal Sinodo del 1971 e mai modificato, dice tutt’altro e parla di famiglia formata dall’unione di un uomo e una donna e dai figli dai loro procreati (o adottati). La premessa 2 è dunque ingannevole e generatrice di confusione definendo matrimonio cose che sono sempre state definite in un altro modo. Ed è semplicemente falsa per quanto riguarda l’ordinamento valdese.

Premessa 3. “Non penso che il significato profondo del matrimonio stia nei figlineppure nella pratica sessuale” [ma] il matrimonio sta in piedi o cade sull’amore gratuito, reciproco [etc.] verso l’altra persona”. Sono parole suggestive e anche lodevoli. Che matrimonio infelice è quello dove ci sono rapporti sessuali, ci sono figli, ma non c’è amore! Da cristiani, da persone civili, da figlie, figli, mogli, mariti, madri o padri davvero degni di tal nome non si può che essere d’accordo! Ma il modo in cui questa affermazione è usato crea confusione e inganno. Primo inganno: una cosa è sostenere l’opinione che senza l’amore il matrimonio è ben triste cosa, altra è dire che amore e matrimonio sono la stessa cosa! Dire che senza la palla non si possono fare i campionati mondiali di calcio non significa che dove c’è una palla si stanno giocando i mondiali di calcio! Secondo inganno: è ovvio che l’amore è più importante della “pratica sessuale”, ma si finge di dimenticare che la “pratica sessuale” è quella che dà luogo alla procreazione. Ecco perché tutte le società danno ad essa un rilievo particolare, quasi sempre con istituti di carattere matrimoniale, mentre l’amicizia, la solidarietà, il reciproco aiuto etc., anche quando portate in grande stima e onore, non hanno mai avuto istituti pubblici o religiosi lontanamente paragonabili al matrimonio. Prima confusione: proprio coloro che hanno sempre in bocca la tiritera della “laicità”, vogliono imporre la propria visione del matrimonio allo Stato. Poiché essi (e su questo, da cristiani, siamo d’accordo anche noi) ritengono che l’amore sia la cosa più importante di un matrimonio, pretendono che lo Stato assuma questa convinzione come base delle sue leggi, e ne faccia pagare l’onere a tutti i cittadini (hanno idea di quanto costerebbe la pensione di reversibilità per chiunque dichiari di “condividere la propria esistenza”, per di più senza pubblicazioni e senza che questo comporti obblighi dopo che l’unione si è sciolta, come vogliono le proposte depositate in parlamento?). Per noi cristiani l’amore è uno dei due “grandi comandamenti”, verso tutti e dunque anche verso il coniuge. Ma le leggi dello Stato da nessuna parte parlano di amore (e meno male:ci mancherebbe solo l’amore obbligatorio di Stato), neppure dove si parla di matrimonio e famiglia. Proprio coloro che sentenziano sui passi biblici non graditi, dichiarandoli “non parola di Dio in quanto influenzati dalla cultura del loro tempo”, dimenticano che il matrimonio d’amore è concetto che ha meno di duecento anni, essendo nato durante il romanticismo. Seconda confusione: i ragionamenti di Platone, in ogni caso, sono rivolti a chiedere allo Stato di allargare la definizione di famiglia, ma questo non c’entra nulla con il matrimonio per la Chiesa Valdese, che ha altri presupposti e altre caratteristiche e – se ancora sopravvive un minimo di decenza – dovrebbe essere regolato da norme chiare e non dal ghiribizzo del momento. E così torniamo al Documento sul Matrimonio e sulla famiglia approvato dal Sinodo del 1971 e mai modificato o abrogato, che parla di matrimonio di uomo e donna, e di famiglia formata da loro e dai figli da loro generati o adottati e di “reciproca attrazione dei sessi come un dono di Dio (Genesi 2:18)”.

La Conclusione del ragionamento del pastore Platone è (citiamo la frase completa, a scanso di equivoci): “Se il matrimonio è un patto che prevede diritti e doveri nel costruire tra due persone un rapporto di solidarietà, reciproco e responsabile, diamogli tranquillamente un solo nome, con gli stessi diritti e doveri.” Si noti che nel gioco al ribasso è sparito persino il requisito dell’amore, che invece era centrale nella premessa 2 e nella premessa 3! Un gioco delle tre carte esilarante, un ragionamento totalmente mistificatorio. Si parte da varie premesse confuse o false per arrivare a una conclusione, che è la semplice ripetizione – al forte ribasso – di una le premesse: “visto che nel matrimonio la cosa più importante è l’amore nella solidarietà (e che Dio non sacralizza la famiglia [cosa non vera] e che il matrimonio non è un sacramento), ne concludo che ogni legame dove c’è solidarietà deve essere matrimonio”. Sarebbe come dire: “visto che a Roma ci sono dei monumenti antichi (e visto che i monumenti non sono piramidi e visto che Roma non è New York), ne concludo che qualunque città dove ci sono monumenti (anche non antichi) deve essere, per forza, Roma”. Insomma: un cumulo di assurdità.

Perché questo accanimento contro la famiglia, contro le posizioni sostenute dai valdesi da tempo immemorabile, contro il dettato costituzionale e contro la logica più elementare? È solo entusiasmo per i gay, che sarebbero discriminati? Ma con questo guazzabuglio si rischia di danneggiare anche le richieste di forme di riconoscimento per le unioni dello stesso sesso, se gli stessi diritti che si danno a loro bisogna darli a qualunque aggregazione. Il motivo deve essere un altro.

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