Al Concistoro della Chiesa Valdese di Luserna San Giovanni: “Espelletemi, ho idee politiche diverse”

“Aderendo al comitato promotore, la Chiesa è diventata ufficialmente un soggetto politico. Se non mi sanzionano vuol dire che i dirigenti hanno creato inutile divisione.”

Lucio Malan ha chiesto formalmente al concistoro della Chiesa Valdese di Luserna San Giovanni di applicargli la sospensione o l’espulsione da membro di chiesa, le sanzioni previste dall’ordinamento valdese per “comportamento in evidente contrasto con la vocazione del credente”.

Malan è stato nel 2009 relatore al Senato della legge che ha introdotto le norme oggetto dei referendum abrogativo del quale la Chiesa Valdese, attraverso la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, è non solo strenua sostenitrice, ma ufficialmente promotrice.

Fin dal 1978, numerose sentenze della Corte Costituzionale hanno stabilito che i promotori dei referendum sono un organo di rilevanza costituzionale, limitatamente al tema trattato dai quesiti:

“Un partito politico – spiega Malan – può cambiare idea, il promotore di un referendum si identifica invece indissolubilmente con il suo referendum, non lasciando spazio al dissenso. Ecco perché molto raramente un partito entra come tale nel comitato promotore, cosa che invece la Federazione evangelica ha fatto. La Chiesa di cui faccio parte ha assunto pertanto una posizione totalmente impegnativa e specifica contro norme delle quali io sono il principale responsabile per averle portate alla conversione in legge. Io stesso ne ho scritto alcune parti attraverso emendamenti e in Commissione Affari Costituzionali e nell’Assemblea ho dato il parere contrario a decine e decine di emendamenti che andavano nella direzione in seguito assunta dalla mia chiesa. Il Governo, nella persona del ministro Ronchi si è solo uniformato ai miei pareri, sempre accolti dalla Commissione e dall’Assemblea, che hanno votato secondo le mie indicazioni.”

Una provocazione?

“Neanche per idea. Le posizioni assunte in modo così perentorio dalla Chiesa devono essere prese sul serio e si deve ritenere che siano sempre prese nel rispetto dell’articolo 2 della disciplina, il quale indica chiaramente ciò che la Chiesa stessa è e fa: professare “le dottrine contenute nell’Antico e nel Nuovo Testamento e formulate nella sua confessione di fede”.

Se schierarsi contro norme che stabiliscono l’obbligatorietà di una gara d’appalto per la gestione dei servizi pubblici sia parte della missione della Chiesa non spetta certo a me deciderlo. Chi rappresenta la Chiesa Valdese ha deciso che lo è.

Il Concistoro ha perciò il dovere di sanzionarmi. Se non lo facesse, certificherebbe che i vertici della Chiesa hanno compiuto un atto che non rientra nella missione della Chiesa, creando divisione fra i credenti. Un atto gravissimo, i cui responsabili dovrebbero essere chiamati a rispondere.

Non prendere provvedimenti contro di me sarebbe come se, dopo esserci dichiarati contro il terrorismo e il razzismo, ritenessimo compatibile con la vocazione del credente il comportamento di Bin Laden o del capo del Ku Klux Klan. Sarebbe come dichiarare al mondo la nostra confessione di fede e poi sostenere posizioni opposte. Vorrebbe dire che le più solenni posizioni della Chiesa sono delle pagliacciate che neppure coloro che le hanno assunte prendono sul serio.”

ECCO IL TESTO INTEGRALE DELLA “AUTODENUNCIA”

Caro Presidente, cari fratelli e sorelle del Concistoro di Luserna San Giovanni,

in applicazione dell’articolo 39 della vigente Disciplina Generale delle Chiese Evangeliche Valdesi, vi chiedo di prendere in esame il mio comportamento, che preciserò oltre, in quanto esso – alla luce della decisione assunta dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia di aderire al comitato promotore dei due referendum popolari sui servizi pubblici locali, generalmente definiti da esponenti della Federazione stessa e della Chiesa Valdese “contro la privatizzazione dell’acqua” – si pone in evidente contrasto con la vocazione del credente.

Premessa

Cari fratelli e sorelle, sono spiacente di chiamarvi a questa spiacevole incombenza, ma ritengo che le parole e gli atti della nostra amatissima Chiesa Valdese debbano essere presi seriamente, accettandone tutte le conseguenze. E vi prego di evitare di considerare questo mio atto come una “provocazione” o peggio. Esso è la necessaria conseguenza della posizione assunta dagli organismi che ci rappresentano, e non è pertanto meno seria di tali prese di posizione.

L’adesione della Fcei alla comitato promotore dei referendum

Come è ormai ampiamente noto, la Fcei ha aderito al comitato promotore dei referendum sui servizi pubblici locali, che si autodenomina “per l’acqua pubblica”. A questo atto si accompagnano molte prese di posizione coerenti: la partecipazione di comunità alla raccolta delle firme e ora alla campagna di propaganda per il voto del 12 e 13 giugno, pubbliche dichiarazioni di numerosi e importanti esponenti delle chiese che costituiscono la Federazione, come quella della moderatora, pastora Maria Bonafede, di cui si trova ancora oggi nel sito ufficiale della chiesa un articolo del 1° dicembre (“Mossi da ragioni teologiche, etiche e politiche dobbiamo contestare questo provvedimento e, invitando le nostre chiese a rendere pubblica la critica al provvedimento adottato, credo che dovremmo impegnarci a raccogliere le firme contro di esso, anche nella prospettiva di un referendum abrogativo”). Il 30 gennaio scorso la parte principale di Protestantesimo su Rai Due era a intitolata: “L’acqua non si vende: l’impegno degli evangelici per i referendum contro la privatizzazione dell’acqua”. Cito inoltre: un incontro a Napoli, intitolato L’acqua non si vende perché è un dono di Dio, propagandato con un volantino intestato con i marchi della Chiesa Valdese e del Comitato referendario, con tanto di citazione biblica, la concessione di vari nostri templi in molte occasioni per gli incontri di propaganda, l’adesione all’incontro a Pinerolo dall’eloquente titolo Dacci oggi la nostra acqua quotidiana.

Importanza dell’adesione

Si tratta di un fatto del tutto nuovo che non è in nessun modo paragonabile a pubbliche prese di posizione da parte di membri di chiesa. Sappiamo bene che ogni membro di chiesa gode della piena autonomia nelle sue decisioni politiche, anche se ricopre importanti incarichi ecclesiastici.

Ma l’adesione a un comitato referendario è anche cosa ben diversa da prese di posizione di organi della chiesa, il Sinodo ad esempio, su temi di interesse politico. Va peraltro sottolineato che anche tali prese di posizione implicano la condanna o – peggio ancora – il mancato riconoscimento dei membri di chiesa che hanno opinioni diverse nelle materie toccate. E dunque, già in questi casi andrebbe probabilmente valutato se il comportamento di coloro che si pongono in dissenso con tali posizioni non siano in contrasto con la vocazione del credente.

Qualcuno potrebbe dire che su opinioni politiche il dissenso è normale, ma se la chiesa come tale assume una posizione su un argomento, poco importa se tale argomento abbia anche implicazioni in campi diversi dalla fede. Se, ad esempio, dichiariamo come chiesa l’uguaglianza tra le etnie umane e la ferma opposizione al razzismo, non si può certo affermare che nella chiesa sia legittimo invece essere razzisti solo perché ci sono gruppi politici o ideologie che lo sono, o perché vi erano certe teorie scientifiche, o pretese tali, che teorizzavano la superiorità di una “razza” rispetto ad altre.

Un precedente di qualche interesse è anche l’adesione della stessa Fcei al Genoa Social Forum nel 2001. In quel caso però si trattava, almeno nelle intenzioni, di un forum di discussione, senza precise tesi precostituite, benché con una determinata impostazione di fondo. Tale adesione andava certamente ritenuta vincolante per i membri di chiesa, ma solo nel senso di riconoscere l’importanza di discutere i temi legati alla globalizzazione.

L’adesione della Fcei ai comitati referendari è invece un atto molto preciso e totalmente impegnativo. Non si tratta di discutere su varie posizioni, ma di essere una posizione estremamente precisa e definita al punto che si traduce in un dettagliato testo di legge, quello che risulta dall’applicazione del quesito referendario. Più precisamente ancora: trattandosi di un referendum abrogativo, si tratta non soltanto di prendere una posizione a favore di un determinato tipo di provvedimento, ma – prima ancora – contro specifiche norme.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 69 del 1978 e con l’ordinanza 17 del 1979, confermate da decine di decisioni nel corso degli anni successivi, ha stabilito la rilevanza costituzionale dei promotori dei referendum al punto da definirli “un potere dello Stato”. Per intendersi, sia pure limitatamente al periodo del procedimento referendario e alla materia oggetto del referendum, i promotori del referendum sono equiparati alla Camera, al Senato, al Governo, alla Magistratura, alle Regioni e agli altri organi costituzionali.

La Chiesa Valdese, in quanto costituente la Fcei, è perciò parte di quell’organo di rilevanza costituzionale la cui essenza consiste nel chiedere l’abrogazione di determinate norme, quasi tutte introdotte dall’articolo 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135. Una posizione molto più precisa che se fosse un partito politico, il quale può cambiare il suo orientamento su un tema o può riconoscere un legittimo dissenso. L’adesione al comitato referendario comporta invece la propria identificazione nella contrarietà alla norma che si vuole abrogare.

Per fare un paragone, si può ricordare che in base alla nostra Costituzione è legittimo essere liberali, socialisti, comunisti, democristiani, ma non essere fascista, perché la ricostituzione del partito fascista è vietata. Ancora di più: è costituzionalmente legittimo persino chiedere di cambiare la Costituzione in modo radicale, ad esempio sopprimendo una delle Camere o abolendo il consiglio dei ministri e la sua presidenza per passarne i poteri al Presidente della Repubblica o ad altri organi. Non è invece legittimo proporre la reintroduzione della monarchia o della dittatura perché la forma repubblicana non è soggetta a revisione. Allo stesso modo, mentre altri temi, nella nostra chiesa, possono essere oggetto di dibattito, chi è favorevole alle norme sull’acqua introdotte nel 2009 è automaticamente contro una posizione indefettibile della Chiesa.

Significato dell’adesione della Fcei

Ci si può chiedere quale sia il significato di tale adesione. Un singolo aderisce a un comitato referendario in quanto libero cittadino che esercita i suoi diritti, e della sua decisione risponde solo a se stesso. La Fcei però, come qualsiasi associazione, può agire solo nell’ambito della propria ragion d’essere, che si trova chiaramente descritta nello Statuto, il cui Preambolo è chiarissimo: “La Federazione vuole essere uno strumento comune di servizio e di testimonianza, nella consapevolezza che solo la completa fedeltà alla Parola del Signore rende possibile il superamento delle umane distinzioni e la piena comunione dei credenti.” L’atto di cui parliamo non può dunque essere volto che a questi fini: esprimere la fedeltà alla Parola, superare le umane distinzioni, favorire la piena comunione dei credenti. Dunque, chi è contrario a questa o alle altre azioni della Fcei è, per definizione, infedele alla Parola e d’ostacolo alla piena comunione dei credenti.

L’articolo 2 dello Statuto aiuta altresì a capire la natura di ogni specifico atto della Fcei, che deve inderogabilmente collocarsi in uno o più degli scopi indicati:

La Federazione, nel rispetto dell’autonomia, della confessione di fede e degli ordinamenti ecclesiastici dei suoi membri, ha lo scopo:

a) di manifestare l’unità della fede e ricercare una comune linea di testimonianza nel nostro paese fondata sullo studio della Parola di Dio;

b) di coordinare e potenziare la testimonianza ed il servizio delle Chiese, Unioni di Chiese ed Opere, nel riconoscimento reciproco dei loro doni particolari;

c) di vigilare sul rispetto dell’esercizio dei diritti di libertà in tema di religione e di adoperarsi perché la presenza delle Chiese evangeliche nella società italiana sia sentita, a tutela dei permanenti diritti di libertà e di eguaglianza nel mutare delle strutture giuridiche;

d) di curare i contatti con altri organismi a base interdenominazionale ed ecumenica;

e) di offrire i propri servizi e la propria assistenza anche a Chiese ed Opere evangeliche che non facciano parte della Federazione.

f) di promuovere l’informazione, con tutti gli strumenti di diffusione, sulla cultura delle chiese evangeliche e delle minoranze religiose;

g) di promuovere l’attività di istruzione ed educazione anche in cooperazione con analoghi organismi internazionali;

h) di svolgere attività di assistenza a favore di persone svantaggiate, con particolare riferimento ai rifugiati e migranti.

L’adesione al comitato referendario sull’acqua e i servizi pubblici locali palesemente non ha nulla a che fare con la libertà religiosa, la libertà e l’uguaglianza, gli organismi interdenominazionali ed ecumenici, i servizi ad altre chiese ed opere evangeliche, la cultura delle chiese evangeliche, l’istruzione e l’educazione, l’assistenza ai rifugiati e ai migranti (lettere c, d, e, f, g, h). Essa non può dunque che essere intesa come “manifestazione dell’unità della fede” e “testimonianza fondata sullo studio della Parola di Dio” (lettere a e b).

Il mio comportamento

Stabilito che la contrarietà alle norme oggetto di referendum e principalmente all’articolo 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n.135 è “manifestazione dell’unità della fede” e “testimonianza fondata sullo studio della Parola di Dio”, nel contesto della “completa fedeltà alla Parola” stessa, è evidente la gravità del comportamento del credente che manifesti il proprio sostegno a quelle norme.

Ma nel mio caso non stiamo parlando di una semplice manifestazione di opinione, bensì di una responsabilità precisa: quella legge c’è perché qualcuno l’ha votata in Parlamento: io sono stato fra i 150 senatori che il 4 novembre 2009 ha votato l’insieme del provvedimento e prima ancora fra quelli che hanno bocciato le decine di emendamenti presentati al testo del Governo, principalmente per eliminarne o attenuarne la portata. Non solo: sono stato fra i 14 senatori della maggioranza che hanno fatto la stessa cosa in commissione affari costituzionali, il 28 ottobre e i giorni precedenti. In tale sede, dati i numeri assai ristretti, il mio singolo voto è stato determinante in più di una occasione. Ma non basta neppure questo: in quanto decreto-legge esso è stato emanato sotto la responsabilità del Governo ed ha avuto vigenza per i primi 60 giorni, ma oggi sono in vigore norme come modificate dal Parlamento e il principale responsabile delle norme in questione, in quanto relatore del provvedimento al Senato in commissione e in assemblea, sono stato io. Dagli atti parlamentari risulta chiaramente che quelle decine di emendamenti presentati dalla opposizione per ridurre o annullare gli effetti che ora il referendum vuole cancellare, sono stati bocciati a seguito del mio parere contrario al quale il Governo, nelle persone dei ministri Fitto e Ronchi, si è sempre limitato a conformarsi e mai è accaduto viceversa. Il testo oggi vigente, la cui abrogazione è diventata una ragion d’essere della nostra chiesa, riporta anche diverse parti scritte e firmate da me, in tre emendamenti e altre nella forma di mia riformulazione di emendamenti altrui. Il relatore del provvedimento alla Camera dei Deputati non ha responsabilità paragonabile alle mie in quanto, in quella sede è stato approvato, senza modifiche e con voto di fiducia, il testo votato dal Senato.

Anche in seguito, ho difeso la posizione mia e del mio partito in decine di occasioni pubbliche e ho aderito – per la verità prima di apprendere della decisione della Fcei – al comitato AcqualiberAtutti, che ha lo scopo di lavorare per la bocciatura del referendum.

Evidente contrasto del mio comportamento con la vocazione del credente

Da quanto sopra emerge chiaramente che il mio comportamento è stato “in evidente contrasto con la vocazione del credente”. Essere stato, del tutto consapevolmente, il principale responsabile di norme che la nostra Chiesa, come tale, vuole abrogare, nell’ambito della “manifestazione dell’unità della fede” e della “testimonianza fondata sullo studio della Parola di Dio”, nel contesto della “completa fedeltà alla Parola”, e continuare a sostenerle anche oggi è senza dubbio un comportamento contemplato dall’articolo 39 della Disciplina Valdese. Inoltre, al di là di considerazioni etiche ed ecclesiastiche, c’è un problema logico: io, in quanto membro della Chiesa Valdese, sono parte costituente del comitato la cui ragion d’essere è l’abrogazione di una norma di cui sono il principale responsabile. Una contraddizione radicale e insanabile. Non posso tagliarmi a metà: di qua il membro il Chiesa, di là il cittadino italiano che partecipa alla vita pubblica.

Non ritenere il mio comportamento in contrasto con la vocazione del credente, sarebbe come dichiararsi contro le stragi terroristiche o contro il razzismo e poi ritenere compatibile con la vocazione del credente il comportamento di Bin Laden o del capo del Ku Klux Klan. Con la differenza che la Chiesa si è sempre dichiarata contro il terrorismo e il razzismo, ma non è mai arrivata ad essere un organo di rilevanza costituzionale relativamente a questi fenomeni. Sarebbe come se, pur avendo all’articolo 2 delle Discipline Valdesi la inequivocabile affermazione che “la Chiesa professa le dottrine contenute nell’Antico e nel Nuovo Testamento e formulate nella sua confessione di fede”, tollerassimo che membri di chiesa e persino pastori facciano dichiarazioni ed agiscano nel loro ministero in contrasto con le suddette dottrine e confessione di fede. Vorrebbe dire minare ogni possibile forma di essere chiesa, poiché per “essere chiesa” bisogna riconoscersi in certi fondamenti e certe regole, in mancanza delle quali si è semplicemente una casuale aggregazione di persone che si trovano insieme per caso o per ragioni che nulla hanno a che fare con la chiesa stessa, come la parentela, la discendenza da un certo gruppo di persone o l’avversione a un’altra chiesa.

Conseguenze logiche di una eventuale mancanza di provvedimenti

Ove mai riteneste che il mio comportamento non è in evidente contrasto con la vocazione del credente, ciò implicherebbe affermare che la Fcei e gli organismi rappresentativi della nostra chiesa hanno impegnato la chiesa stessa su questioni che nulla hanno a che fare con la sua ragion d’essere. È impossibile qui parlare di legittime divergenze di opinione: lo scopo della Chiesa è “seguitare la Parola di Dio” (Confessione di fede, Articolo 25). Questo può essere fatto in vari modi e, ordinariamente, il fatto che la Chiesa ne scelga uno non vuol dire condannare gli altri. Ma in questo caso la chiesa come tale e dunque nel perseguire il suo scopo di “seguitare la Parola di Dio”, diventa uno strumento per abrogare una norma. È palese che sostenere quella norma è porsi contro la vocazione del credente: la scelta di costituirsi parte del comitato referendario non lascia spazi intermedi: il sì è sì e il no è no. Non si può militare nel partito nazista e dire di non essere razzisti. Non si può andare in giro a picchiare gay e immigrati e dire di essere per l’accoglienza e la tolleranza. Non si può contraddire la confessione di fede di una chiesa e dire di esserne membri.

La mancanza di provvedimenti nei miei confronti comporterebbe un’accusa gravissima nei confronti della Fcei e di chi in essa rappresenta la chiesa valdese, tra i quali la vicepresidente che è pastora valdese e docente alla Facoltà di Teologia: aver violato lo statuto della Federazione intraprendendo azioni estranee agli scopi indicati dallo Statuto e addirittura contrarie ad esso, che nel preambolo afferma che solo la completa fedeltà alla Parola del Signore rende possibile il superamento delle umane distinzioni e la piena comunione dei credenti. Se la questione dei referendum non ha a che fare con la vocazione del credente, vorrebbe dire che si è presa illegittimamente una posizione così fortemente impegnativa pur essendo palesemente lesiva della comunione dei credenti in quanto notoriamente parecchi di essi hanno posizioni contrarie e uno, io, ne è oggettivamente il primo responsabile. Una posizione che crea divisioni persino all’interno di me stesso, poiché in quanto membro di chiesa sono contrario e sto agendo contro norme delle quali sono il principale responsabile.

Rinuncia a difendere le posizioni da me assunte

Potrei qui argomentare le ragioni che mi hanno spinto e mi spingono a sostenere le misure che la chiesa vuole abolire, ma ciò sarebbe estraneo a ciò che dobbiamo discutere. Il punto non è se le mie posizioni sono giuste o sbagliate secondo ragionamenti politici o giuridici. Qui parliamo di vocazione del credente e, soprattutto di ragion d’essere della chiesa, temi su cui è evidente che ciò che conta sono gli organi della chiesa stessa.

L’unico punto che si può teoricamente considerare è se l’argomento in sé, indipendentemente dalla posizione mia o della Fcei, è un punto sul quale la Fcei ha titolo di schierarsi e schierarci. Se lo è, la sanzione contro di me è inevitabile. Se non lo è, vanno chiesti o presi i provvedimenti necessari per sanzionare coloro che hanno impegnato la nostra chiesa su temi su cui non c’era ragione per farlo, creando gravi divisioni fra i credenti.

Possa il Signore illuminare la Vostra decisione, e soprattutto darVi la forza per fare ciò che la vostra coscienza ritiene più giusto e tenervi lontani dall’ambiguità, poiché “l’uomo ambiguo crea litigi” (Proverbi 16:28).

Con un saluto fraterno

Lucio Malan

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