“Il tramonto del sacro” – Il pastore Alessandro Esposito risponde a un nostro articolo

A seguito del nostro articolo “Il pastore Esposito esprime la sua ‘profonda distanza’ rispetto all’apostolo Paolo” riceviamo dallo stesso pastore Esposito questo scritto, che volentieri pubblichiamo. L’articolo si può leggere anche nel sito di MicroMega.

A commento del mio articolo Paolo di Tarso o dell’intransigenza della fede, pubblicato su questo blog (il blog del periodico MicroMega – NdR) in data due febbraio 2016, ho ricevuto le riflessioni della Redazione del sito internet www.valdesi.eu fattemi pervenire dalla gentile Daniela Michelin Salomon. In breve, le critiche che mi vengono rivolte concernono la mia visione laica delle scritture ebraico-cristiane, delle quali, in ottemperanza al mio ruolo ecclesiale, sarei tenuto a professare la sacralità. Vorrei pertanto concentrarmi su due aspetti che, con ogni probabilità, le lettrici ed i lettori di MicroMega daranno per assodati e che, al contrario, sono ancora oggetto di discussione in ambito teologico, anche quando la riflessione si svolga in seno a realtà più aperte alle istanze del pensiero moderno come sono le chiese protestanti storiche.

In prima istanza, voglio sottolineare con fermezza il fatto che le scritture di riferimento della tradizione cristiana andrebbero definitivamente de-sacralizzate: il riferirsi ad esse come all’espressione diretta ed inequivocabile della volontà divina rappresenta un assunto, per quanto diffuso, in tutto e per tutto pre-moderno. Ritenere che i testi biblici siano parola sacra, significa metterli preventivamente al riparo da ogni lettura critica, storico-sociale e psicologica: atteggiamento che restringe in maniera drammatica lo spettro di significati che, al contrario, ogni testo letterario è in grado di aprire ogniqualvolta lo si lasci libero dai lacci della codificazione normativa o dogmatica. Testo è parola che rinvia all’atto della tessitura, il quale va preservato nella sua originaria intenzione creativa e salvaguardato dai tentativi di omologazione che ogni prospettiva dottrinale pone inevitabilmente in essere. Chi tesse intreccia, mentre chi insiste sulla sacralità di un testo finisce per rinchiuderne le pagine in un isolamento che lo svuota di senso, poiché la radice sanscrita sacer indica esattamente ciò che è separato: e questo la lettura dogmatica ha fatto con i testi biblici, rendendoli estranei, perché sovra-ordinati, alla vita, dalla quale invece essi germinano e con la quale intendono procedere nell’intreccio della mutua interrogazione e della reciproca provocazione.

Questa “circolarità aperta” è ciò che caratterizza l’atto interpretativo che, per rimanere tale, non può accettare la reductio ad unum che l’impostazione dogmatica non propone ma esige, cessando in tal modo di lasciarsi interrogare dal testo ed impedendo al lettore di modificare il proprio pensiero e la propria sensibilità. La dottrina non si limita ad orientare la riflessione, ma finisce per sclerotizzarla, mentre la libera interpretazione intende suscitarla, inserendola in un movimento costante, in seno al quale ogni interrogativo è legittimo ed ogni risposta provvisoria, poiché fonte di una nuova domanda.

Inoltre, la presunta sacralità del testo impedisce l’onesta valutazione secondo cui alcune prospettive etiche riscontrabili nelle scritture ebraico-cristiane siano, come di fatto sono, contestuali e culturalmente connotate: pertanto, come ho già sostenuto, è importante sottolineare senza tentennamenti che quando leggiamo le epistole paoline è Paolo e non Dio a parlare.

Diversamente, saremmo costretti ad universalizzare prospettive etiche particolari e, in più di un aspetto, incompatibili con la modernità e con le sue conquiste in ambito di riconoscimento dei diritti umani, circa le quali non ritengo auspicabile tornare indietro.

Insomma: anche in ambito di interpretazione scritturale, l’unica autorità è rappresentata dalla ragione, nella sua duplice funzione critica ed immaginativa: la sacralità, sia essa quella del testo o dell’autorità che si erge a suo unico ed infallibile interprete, va definitivamente derubricata, se non vogliamo che l’essere umano venga perennemente relegato in quello che Kant definiva opportunamente lo stato di minorità.

L’altro aspetto su cui intendo soffermarmi più brevemente riguarda un interrogativo diverso, ma non meno nevralgico: la mia libertà d’indagine e d’interpretazione deve essere limitata dal ruolo che rivesto? In termini espliciti: il fatto che io eserciti il ministero pastorale in seno ad una chiesa, significa che io debba mortificare il pensiero e prediligere l’ipocrisia quando gli studi e la riflessione mi conducono a pensare che la codificazione dogmatica di una fede che è esperienza di vita sia da rifiutare nelle sue conclusioni e, ancor più, nel suo metodo anti-storico e intrinsecamente autoritario?

Il pensiero, fortunatamente, non conosce restrizioni né ammette autorità che ne limitino il libero esercizio: è per questo che l’eresia, termine che rinvia alla capacità di operare una scelta, rappresenterà sempre il cuore di una fede indomita perché mai paga delle soluzioni approntate dall’ortodossia per mettere a tacere il dissenso.

Alessandro Esposito (pastore valdese in Argentina)

3 commenti

  1. L’unica autorità nell’interpretazione scritturale è la ragione? Beh, allora tanto vale essere cattolici, dove sono gli esseri umani coi loro ragionamenti a stabilire quali sono gli dei, come adorarli, quali i riti, quali i precetti religiosi ed etici etc.etc..
    Gesù persino sulla croce cita le Scritture. E il principio che la Scrittura interpreta sè stessa è il baluardo all’arbitrio dei credenti, che alla fine interpreterebbero come piace a ognuno di loro.
    Il pastore ha dei limiti professionali, se non intimi, sicuramente pubblici, ha la rappresentanza di un ente che deve avere un minimo di punti fermi, altrimenti è il caos, gli utenti delle chiese non capirebbero a cosa stanno partecipando. Chi non se la sente non fa il pastore.
    Il fatto che le scritture siano sacre li mette al riparo da lettura critica, storico sociale e psicologica?. Casco dalle nuvole, la bibbia aiuta a “investigare” le scritture e investigarle significa decodificarle, sottoporle a dubbio, al confronto. Il tutto dovrebbe portare a una conferma del loro contenuto, non a una loro negazione. Se la conferma non c’è, invece di sputare sentenze, si rinnova e si ricerca l’esame con umiltà e preghiera. Insomma i conti devono tornare o altrimenti si è nell’errore.
    Forse che Dio non loda Giacobbe che lotta con Lui e con gli uomini? Ma alla fine Giacobbe chiede la benedizione di Dio che ha lottato con lui fino all’alba. Forse che Gesù non si mostra a uno Stefano incredulo? . La bibbia è più moderna di quanto si possa pensare altro che appartata, bisogna saperla leggere e in effetti non è cosa facile. Sopratutto non è cosa che si possa fare senza un aiuto sovrannaturale, la sola ragione non basta.
    Mi sento ridicolo a ribadire queste cose, così semplici e basilari per dei protestanti, ma insisto su questo, si sta tornando al cattolicesimo e tanti credono di essere protestanti perchè le loro chiese sono spoglie e non adorano santi e madonne. A ben guardare ne hanno tanti di feticci e il loro Dio è un Dio che è disposto a dividere onore, gloria e culto con altre divinità perchè è il dio della fratellanza a tutti i costi, alla fratellanza incondizionata.
    Sono persona abbastanza critica, razionale e antidogmatica, sono persino un ex ateo,ma davvero non riesco ad essere d’accordo con i vari Esposito, sempre più numerosi in ambiente protestante.

  2. Ho cercato di seguire la logica del sig. Esposito, ma già non concordavo sulle premesse. Le Sacre Scritture sono sacre per definizione e sono il FONDAMENTO di ogni ragionamento di ogni credente (cfr. 2Timoteo 3:16), altrimenti cosa ne facciamo del principio del Sola Scriptura? Inoltre, la Bibbia è Parola di Dio in ciascuno dei 31104 versetti in cui è suddivisa, anche se è trascritta da un autore umano, per esempio Paolo. Che applicare il metodo storico-critico alla Bibbia sia sbagliato è già stato dimostrato in passato proprio su questo sito. Infine, seguendo il ragionamento del sig. Esposito, si arriva addirittura a giustificare le eresie, il ché la dice lunga su quanto la sua (presunta) fede sia genuina…

  3. Gentile pastore Esposito.
    Trovo interessanti le sue considerazioni in risposta all’articolo da lei citato. Credo però che siano manifeste alcune contraddizioni che sono abbastanza caratteristiche della visione moderna o post moderna del cristianesimo odierno.
    Ritenere che la lettura critica, storico-sociale e psicologica sia l’unico modo di approcciarsi al testo biblico non libera del tutto il testo da quelli che lei definisce i “lacci della codificazione normativa o dogmatica”, proprio perché questo modo di vedere è in sé stesso una codificazione normativa e dogmatica! La desacralizzazione del testo diviene un dogma, un codice che a sua volta restringe i significati del testo stesso imponendo la visione post-moderna come unica base su cui esercitare l’esegesi biblica. Per cui, se il “Testo è parola che rinvia all’atto della tessitura, il quale va preservato nella sua originaria intenzione creativa e salvaguardato dai tentativi di omologazione che ogni prospettiva dottrinale pone inevitabilmente in essere” allora ne consegue che la desacralizzazione e l’imposizione di una ermeneutica post moderna non siano che un altro modo per omologare il testo biblico, un altro modo per non liberarlo ma per chiuderlo nuovamente in un’altra “scatola” dottrinale e dogmatica in salsa post moderna. La sacralità del testo non impedisce una lettura storico-critica mentre la lettura storico-critica “moderna”, che vuole di fatto escludere ogni concetto di sacro dalla Bibbia, diventa a sua volta quella reductio ad unicum di cui lei parla e che vorrebbe evitare.
    La dottrina si sclerotizza ogni qual volta ci si dimentica che la chiesa è “semper reformanda”, concetto che però non indica un accomodamento della chiesa e della dottrina in base a “come va il mondo”. Il cristianesimo è per definizione controculturale, in quanto non separa mai il divino dall’umano, la fede dalla ragione, l’immanente dal trascendente, l’umanità dal Vangelo, come invece sta facendo la cultura post moderna, impregnata di antiteismo e di intolleranza verso ogni cosa che non appaia abbastanza moderna e quindi degna di considerazione.
    Certo, universalizzare prospettive etiche particolari può non essere auspicabile in certi casi, ma anche imporre prospettive etiche post moderne non è auspicabile, in quanto ogni imposizione è di per se stessa una limitazione ad alcuni tra i diritti umani fondamentali come la libertà di pensiero, di espressione, di religione…
    Non posso essere d’accordo sul fatto che “l’unica autorità è rappresentata dalla ragione”. E’ un concetto limitato e limitante, quasi integralista nel suo “assolutismo”. Implica che non possa esserci null’altro al di fuori di ciò che la ragion umana può comprendere e implica la negazione più ferma di tutto il resto dando così il via a quelle forme di “tolleranza intollerante” che stanno diventando sempre più comuni nel pensiero occidentale. L’assoluto potere della sola ragione diventa così IL Dogma e evidenzia la propria irragionevolezza! Diventa esattamente una nuova forma di ortodossia che cerca di mettere a tacere il dissenso e limitare il pensiero libero. Diventa la distorsione di una fede indomita: una fede cieca! Diventa il modo per relegare l’umano ad uno stato di minorità separandolo da quell’incontro con la Deità che potrebbe veramente liberarlo dai suoi limiti e dalle sue catene.
    In ultimo, anche se non vorrei sbagliare, mi sembra che lei limiti i suoi studi e le sue indagini alla parte cosiddetta “liberale” del cristianesimo. Credo che, così facendo, si privi dello spessore intellettuale, biblico e culturale della letteratura evangelica “ortodossa” contemporanea, soprattutto di lingua inglese e che quindi cada negli stessi errori che vorrebbe evitare: la limitazione della libertà del pensiero e l’appagamento della sua “ortodossia liberale”.
    La fede non è il calcio! La fede è confronto, con Dio e con gli altri. Sempre.

    Con stima.

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