IL PASTORE PLATONE, PRESIDENTE DEL SINODO 2011, FINALMENTE CI RISPONDE

Ecco la reazione alla nostra lettera: “Se invece volete un altra Chiesa, perché avete altri obiettivi, costruitevela ma senza «approfittare» di quella esistente. A partire dal nome.”

Pubblichiamo la lettera del pastore Platone, precisando che è giunta il 21 settembre. Ci scusiamo per il ritardo.

Perché non ho risposto sinora alla vostra lettera? Perché non desidero portare acqua al mulino della vostra ricerca di visibilità. Capisco che quest’ultima possa avere risvolti politici per voi importanti, ma appunto non m’interessa alimentare questa pretesa. Ho anche capito che qualsiasi cosa vi avessi scritto sarebbe immediatamente diventata oggetto di ironica condanna. E probabilmente sarà così anche per queste poche righe. Ma, visto che insistete nel volere la mia risposta, lo faccio ora.

In due parole, penso che abbiate avviato un pericoloso gioco al massacro teso, a mio avviso, a esasperare le posizioni e spaccare la chiesa (tentando di mettere gli uni contro gli altri), quasi il vostro gruppo avesse una verità più vera delle altre.  Voi  date il voto: chi nell’ortodossia, chi no. Ma gli evangeli raccontano la pluralità dinamica del cristianesimo non solo come difficoltà ma anche come ricchezza. Costruire un luogo mediatico in cui manifestare un dissenso radicale strumentalizzando l’aggettivo «valdesi» ingenerando confusione, rispetto al sito ufficiale o ai siti legittimamente ad esso connessi, tende a esasperare gli animi e a promuovere litigi, giudizi categorici, insulti e via dicendo.

La nostra organizzazione ecclesiastica ha sedi idonee in cui esprimersi e decidere. Ritengo che il Sinodo si sia svolto nella pluralità e nelle dinamiche delle diverse posizioni e si sia concluso seguendo le procedure previste delle nostre discipline. E il Sinodo si è espresso sulle varie materie in piena libertà e franchezza. Non devo rendere conto a voi dei miei comportamenti in quanto presidente del Sinodo. Rispondo semmai, se richiesto, agli organismi della nostra chiesa.

C’è un solo giusto che è Gesù Cristo. Renderemo conto al Signore dei nostri comportamenti e della nostra testimonianza. Certamente ognuno, nel confronto, è convinto di avere ragione. Ma, appunto, il confronto – anche aspro – tra valdesi si svolga nelle sedi opportune che ci siamo dati e non al di fuori dei luoghi deputati a farlo. Mi sembra il minimo per mantenere oggi propositiva e fruttuosa tra noi quell’unità e ordine, nel discepolato cristiano, che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto e che faticosamente cerchiamo d’interpretare con  fedeltà biblica e onestà comportamentale. In pubblico e in privato.

Se valdesi.eu si propone come orientamento critico e squalificante verso l’attuale direzione (definita in un vostro recente scritto: nomenklatura autoreferenziale) della chiesa valdese la discussione deve avvenire nelle chiese e nella gerarchia delle assemblee, non con degli appelli esterni o attraverso denigrazioni pilotate da organi esterni alla chiesa. Se invece volete un’altra chiesa, perché avete altri obiettivi, costruitevela ma senza « approfittare» di quella esistente. A partire dal nome. Volete migliorare la nostra chiesa o affossarla ? Volete dare spazio ad un ipotesi settaria o valorizzare l’unità nella diversità delle posizioni?

Non facciamoci la guerra e troviamo un nuovo terreno d’intesa che sia rispettoso delle istanze dell’ordinamento valdese. Voglio credere che entrambi,  da sponde distanti tra loro, amiamo questa chiesa alla quale non pochi tra noi dedicano tutta la loro esistenza. E lo si fa nel convincimento di rispondere onestamente, pur tra inevitabili cadute e rialzamenti, alla chiamata ad essere discepoli di Cristo.

Nel Suo nome vi saluto,

Giuseppe Platone

 

Rispondiamo

Un’altra Chiesa è quella che state facendo voi

Gentile Pastore Giuseppe Platone,

le dobbiamo un ringraziamento particolare per averci risposto, perché – visto il contenuto del suo messaggio – deve esserle risultato assai fastidioso. Spiace che lei ci attribuisca “ironiche condanne” a priori. Se conosce il nostro sito, sa che noi non condanniamo, e anzi apprezziamo i ragionamenti altrui anche quando arrivano a conclusioni che non condividiamo. Non apprezziamo invece i dogmi, le bugie e le contraddizioni. Quando le vediamo, le facciamo notare: tutto qui.

Lei stigmatizza la nostra presunta “ricerca di visibilità”: ci aiuti a capire qual è il criterio da usare per distinguere chi manifesta onestamente le proprie opinioni e chi invece lo fa per “la ricerca di visibilità”. Facciamo notare che la benedizione “di Ciro e Guido”, ad esempio, di visibilità ne ha avuta parecchia, e non certo involontaria, visto che era stata consentita la presenza nel tempio di giornalisti, fotografi e telecamere, cosa che i pastori di solito vietano a battesimi, confermazioni e talora matrimoni. Temiamo che il criterio sia: “quando chi non la pensa come me riesce a farsi ascoltare è una biasimevole ricerca di visibilità; quando succede a me, è una giusta attenzione ai miei commendevoli atti e alle mie autorevoli opinioni”. Un criterio che ci permettiamo di non condividere, neppure se rovesciato a nostro favore.

Ci sfuggono i “risvolti politici” di questo poco di visibilità, che – secondo lei – sarebbero importanti per noi. Questa abitudine di parecchi nostri interlocutori di fare accuse politiche sta diventando stucchevole, specie quando viene dai vertici di una chiesa che prende continuamente posizioni politiche e che negli scorsi decenni ha espresso almeno due candidature al parlamento originate esclusivamente nella chiesa stessa. Ed è anche poco edificante che tali accuse siano nel vago. Vuole gentilmente spiegarci quali sarebbero questi risvolti politici?

Prendiamo invece molto sul serio la sua preoccupazione per la nostra presunta intenzione di spaccare la Chiesa, tentando di mettere gli uni contro gli altri. Dobbiamo sempre guardarci da questo pericolo. Le ricordiamo però le parole del pastore Alessandro Esposito nella sua intervista a Repubblica dell’8 giugno 2010, a commento della benedizione di una coppia di donne da lui celebrata:

 “[C’è] il timore niente affatto ingiustificato di provocare una spaccatura in seno alle nostre chiese e… la paura di incrinare i rapporti ecumenici, sia intra-evangelici che con le altre confessioni cristiane. A queste pur comprensibili obiezioni, mi sento di rispondere che esistono dei punti fondamentali… rispetto ai quali una spaccatura può – anzi deve – essere provocata”. Insomma, il pastore Esposito sapeva che è chi prende le decisioni traumaticamente innovative – e contrarie a quanto è avvenuto in precedenza – a produrre spaccature, non chi reagisce. Possibile che i vertici della Chiesa seguano il pastore di Trapani al punto da legittimare ex post la cerimonia da lui celebrata, ma si dimentichino della sua accuratissima previsione, peraltro assai più importante dell’atto stesso?

Ci accusa di ritenere di avere “una verità più vera delle altre”. È difficile capire perché tra due posizioni, chi ne sostiene una “pensa di avere una verità più vera delle altre”, mentre chi sostiene l’altra no. Tanto più che noi ci limitiamo ad argomentare prendendocene la responsabilità, altri invece compiono atti che impegnano la Chiesa, magari anche senza prendersi la pena di aspettare una decisione del Sinodo. Ma, soprattutto, questa “verità” che noi sosteniamo, è la stessa di chi ha letto per migliaia di anni il Nuovo e l’Antico Testamento, e degli almeno 836 anni di storia valdese che hanno preceduto il Sinodo 2010. Voi, infatti, per giustificare la vostra posizione, dovete dire apertamente di saperne più dell’apostolo Paolo e dell’autore del Levitico (secondo Gesù in Matteo 8:4 e altrove è Mosè, ma alla Facoltà di Teologia dicono che Gesù sbaglia). Posizione in generale rispettabile, ma un po’ problematica per chi si definisce “evangelico”, tanto più se ha sottoscritto solennemente una Confessione di Fede dove si dice che “conviene ricevere… questa Santa Scrittura per divina e canonica, ciò è per regola della nostra fede e vita”. Le ricordiamo, poi, che – mentre noi rileviamo contraddizioni negli argomenti – chi ci osteggia ci etichetta come “fondamentalisti in senso deteriore”, di “mentalità cattolica”, e si lancia in attacchi personali, con tanto di attribuzione di fatti specifici inesistenti. Inoltre, è curioso che nella chiesa “del dialogo e dell’accettazione del diverso”, si sottoponga la esposizione di idee sgradite a condanna sinodale. E che dire del fatto che il Sinodo 2010 abbia del tutto ignorato il nostro appello? E del fatto che un importante esponente della Chiesa, si tratta di lei, abbia del tutto negato l’esistenza, non solo nostra, ma di tutti coloro che hanno posizioni simili alle nostre di cui noi, a differenza degli organi ufficiali della Chiesa, abbiamo riferito? È proprio sicuro che quell’arroganza che lei sostanzialmente ci attribuisce (“Voi date il voto: chi nell’ortodossia, chi no”), non abbia alcun domicilio presso la parte che lei sostiene?

Inoltre, qual è l’uso “strumentale” della parola “valdesi” di cui “approfittiamo”? Una cosa, infatti, è l’uso ufficiale, che è un fatto oggettivo. Se noi tentassimo di farci passare per “la Chiesa Valdese” sarebbe scorretto. Altra cosa è rivendicare la nostra appartenenza, la nostra fedeltà alla Chiesa Valdese ed esprimere il nostro concetto di Chiesa Valdese. Nessuno pensa di accusare il quotidiano “la Repubblica” di volersi far passare per la Repubblica Italiana o di fare un uso strumentale della parola “Repubblica”. E che dire della trasmissione Protestantesimo ? Forse che tutti i protestanti italiani sono rappresentati da chi la gestisce ? E la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, che rappresenta solo una minoranza degli evangelici in Italia, meno del 10% ? E l’agenzia Notizie Evangeliche gestita dalla stessa Federazione ? Temiamo fortemente che il criterio della “strumentalità” somigli a quello della ricerca di visibilità. Cioè: se una parola la usano gli altri è “strumentale”, se la uso io è cosa buona e giusta. Quanto agli insulti e la denigrazione, di certo non albergano qui, così come le attribuzioni di fatti inesistenti, le censure e le condanne. Come abbiamo già scritto, se però ravvisa degli insulti o delle denigrazioni, le saremo grati se ce le segnala. L’espressione “nomenklatura autoreferenziale”, che lei cita, ad esempio, non è non è né un insulto né una denigrazione, ma una valutazione contenuta in una singola lettera di cui è curioso abbia rilevato solo questo, poiché illustrava il dramma di un padre che non sa dove mandare suo figlio per l’istruzione religiosa visto che la Chiesa di cui aveva chiesto di fare parte e “che si rifaceva alla sola Scrittura, non esiste più”. Ecco, proprio ignorare un’istanza di questo genere (e per uno che lo dice, ce ne sono cento che tacciono e non mandano i figli da nessuna parte) giustifica proprio la qualifica di “autoreferenziale”.

Il dissenso, dice, dovrebbe esprimersi in sedi idonee e non al di fuori. Cioè nelle Assemblee di chiesa, di circuito, di distretto e nel Sinodo. Immaginiamo che in un paese un esponente politico dicesse che  il dissenso rispetto a ciò che fa il governo si può esprimere solo in parlamento, nei consigli regionali, provinciali e comunali, le “sedi idonee, e non al di fuori”, cioè non in manifestazioni, in pubblici dibattiti, sui giornali, in televisione, in radio, in internet. E si accusasse chi si azzarda a farlo, di “esasperare le posizioni, spaccare il paese tentando di mettere gli uni contro gli altri, di pretendere di avere una verità più vera delle altre, di ingenerare confusione, di esasperare gli animi, di affossare lo Stato, promuovere litigi, giudizi categorici, insulti e via dicendo” e lo si invitasse a tacere o andarsene e farsi una propria repubblica altrove per non “approfittare di quella esistente”. Spero che il solo pensiero di uno stato del genere ci faccia venire i brividi e il ribrezzo. Se poi, in un paese del genere il presidente del parlamento (parliamo del “parlamento” valdese del 2010), dove più di metà dei membri non sono eletti, proibisse ai deputati di parlare di una petizione al parlamento stesso firmata da pochi cittadini, ma pur sempre più di uno ogni 500, come se in Italia la firmassero in 130mila, se esponenti di spicco delle istituzioni negassero che esiste dissenso nel paese, i brividi, per non parlare del resto, aumenterebbero. Certo, una Chiesa non è del tutto paragonabile a una repubblica, ma qualche analogia c’è. Usciamo dalle ipotesi e parliamo della realtà di una chiesa, proprio la Chiesa Valdese. Che cos’era la rivista Nuovi Tempi, fondata nel 1966 niente meno che dal pastore e in seguito professore di teologia Giorgio Girardet, la cui dipartita è stata ricordata con commozione dal Sinodo da lei presieduto, se non un “un luogo mediatico in cui manifestare” se non “un dissenso radicale” quanto meno posizioni del tutto autonome rispetto alla Chiesa e al suo giornale ufficiale, all’epoca non ancora allineato al nuovo corso che si stava affermando? Ancora una volta, sembra che se certe cose le mette in atto uno di cui si condividono le idee, fanno di lui un “maestro di giornalismo, ma anche di ecumenismo e di pratica pastorale” (parole del direttore di Riforma), se lo facciamo noi per manifestare idee sgradite, ci becchiamo una ”deplorazione sinodale”. E, ciò che è davvero mortificante, ci prendiamo da lei un invito ad andarcene per non approfittare della della Chiesa. A proposito della chiesa del dialogo e dell’accettazione”, e di chi pensa di avere una verità più vera delle altre! Non solo l’emarginazione e la condanna, ma anche l’invito ad andarsene a fare un’altra chiesa! Un’altra chiesa è quella che state facendo voi, rovesciando ciò che la Chiesa Valdese è sempre stata, tanto da dover dichiarare che dall’apostolo Paolo a Vittorio Subilia hanno sbagliato tutti. Ebbene, noi preferiamo avere “torto” insieme all’apostolo Paolo e a decine di generazioni di valdesi che “ragione” insieme a voi. Certo, dal punto di vista giuridico, gli attuali organi della Chiesa Valdese hanno la piena e indiscutibile rappresentanza. Ce l’avrebbero anche se – seguendo le procedure previste dalle discipline valdesi – sostituissero la Bibbia con qualsiasi altra cosa. Ma la realtà è che le iniziative che prendono, del tutto contrarie alla nostra storia, avrebbero un rilievo pubblico bassissimo se non fossero fatte sotto il nome di “valdese”, di cui pretendono addirittura il monopolio.  

Certo, non deve renderci conto dei suoi comportamenti come Presidente del Sinodo né le abbiamo scritto in quanto tale ma in quanto membro del Sinodo che ha votato l’ordine del giorno contro di noi, sul quale ci ha cortesemente risposto. Ma non le è neppure proibito, ove lo credesse, spiegare come la mancata ammissione dei membri ad assistere ai lavori del Sinodo, ma solo alla ripresa televisiva dei medesimi, si concilia con l’articolo 9 del regolamento di quell’alta assemblea. E ci piacerebbe sapere se ritiene che il Sinodo abbia approvato con sufficiente consapevolezza l’ordine del giorno contro di noi, visto che dell’argomento nessuno ha parlato prima, se non in un solo intervento, e di passaggio. Ma neppure un procuratore della Repubblica ha il potere di obbligare a rispondere, figurarsi noi!

Detto tutto questo, aderiamo totalmente alle ultime righe della sua lettera, che ci siamo permessi di sottolineare. Che davvero il Signore possa illuminarci e farci comprendere come posizioni così diverse possano e debbano conciliarsi, tendendo tutte a rispondere alla chiamata di Gesù Cristo.

La Redazione

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