Di cosa parliamo quando diciamo “Buona Pasqua”?

Secondo i calcoli più verosimili, il 9 aprile 2018 sarà il 1986esimo anniversario della crocifissione di Gesù di Nazaret, evento che gran parte delle chiese cristiane occidentali ricorda quest’anno venerdì 30 marzo, mentre le chiese ortodosse lo faranno il 6 aprile. Qual è il significato di quell’evento? Migliaia di libri sono stati scritti, ma qui voglio essere sintetico e uso le parole che Gesù stesso usò:

“ELÌ ELÌ, LEMÀ SABACTÀNI” Perché queste quattro parole spiegano che cos’è la Pasqua?

Sono riportate – oltre che in Marco 15, dall’evangelista Matteo al capitolo 27, versetto 46, traducendole poi con “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Per molti anni le avevo sentite definire “un mistero”, non perché espresse – anche nelle traduzioni italiane – in quella lingua arcana, ma perché – in base ad esse – dovremmo immaginare che il Figlio di Dio (tale viene ribadito essere appena otto versetti dopo), “Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”, come dice il simbolo apostolico, si sarebbe sentito abbandonato e solo, disperato. Se Gesù Cristo è Dio, come può sentirsi abbandonato da Dio? E se la crocifissione, peraltro da lui più volte predetta, è la via per compiere la sua missione, perché dovrebbe sentirsi abbandonato? Una cosa è lo strazio indicibile di ciò che sta patendo, altra è la disperazione: di quanti màrtiri abbiamo letto che hanno affrontato torture e morte senza un cenno di incertezza? Queste parole sembrano invece una resa, proprio alla fine. Sono infatti le sue ultime. Poi, “avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito”. Ci fu un terremoto con altri fenomeni straordinari e il centurione, che era di guardia con i suoi uomini, disse: “Veramente costui era il figlio di Dio”. Che cosa l’ha convinto? Le parole di Gesù potevano – infatti – portare alla conclusione opposta. Forse il terremoto e gli altri fenomeni? Proveremo a rispondere.

In realtà, Gesù non poteva essere più chiaro ed eloquente, ad ascoltarlo bene. Non a caso l’evangelista Matteo, pur scrivendo in greco, riporta le parole come  pronunciate dal Messia nell’originaria lingua aramaica che si parlava all’epoca in quella terra. Anzi, le prime, “Elì, Elì”, sono in ebraico e le altre in aramaico. Perché? Perché si tratta di una citazione testuale. È l’inizio del Salmo 22, che nel testo ebraico è: “Elì elì lamà azavtani”. Nell’uso ebraico, e non solo, citare il primo verso vuol dire citare l’interno brano. Quello che per noi è “il Salmo 22” all’epoca veniva indicato, come tutti gli altri, in quel modo. Non è un uso solo ebraico e solo antico. Ad esempio, i sonetti di Dante non hanno un titolo. Li citiamo con il primo verso: “Tanto gentile e tanto onesta pare”, “Amor che nella mente mi ragiona” e così via. La stessa cosa facciamo di solito con le arie delle opere liriche: “Che gelida manina”, “Di quella pira”, ecc. Gesù, dunque, pronuncia solo quelle quattro parole (chi era crocifisso di solito alla fine moriva per soffocamento e comunque respirava a stento, dunque non era in grado di fare lunghi discorsi), ma attraverso di esse intende richiamare l’intero Salmo e con esso ci dice l’incommensurabile significato di quel terribile momento. Dobbiamo dunque leggere il Salmo 22 per capire cosa intende davvero Gesù.

1 Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché sei così lontano e non vieni a liberarmi, dando ascolto alle parole del mio gemito? 2 O DIO mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte non sto in silenzio. 3 Eppure tu sei il Santo, che dimori nelle lodi d’Israele.

Questa è la situazione in cui i presenti vedono Gesù. Per gli stessi discepoli la crocifissione è una sconfitta, la fine delle loro speranze. Dopo la morte del Messia si sentono sperduti, non capiscono tutto ciò che è avvenuto. Ad esempio, in Luca 24: 17-19 due discepoli incontrano, senza riconoscerlo, Gesù risorto: “Egli disse loro: «Che discorsi sono questi che vi scambiate l’un l’altro, cammin facendo? E perché siete mesti?». E uno di loro, di nome Cleopa, rispondendo, gli disse: «Sei tu l’unico forestiero in Gerusalemme, che non conosca le cose accadute in questi giorni? Le cose di Gesù Nazareno… noi speravamo fosse lui che avrebbe liberato Israele”…

Ma al Salmo 22 qualcosa di diverso emerge fin dal versetto 4:

4 I nostri padri hanno confidato in te; hanno confidato in te e tu li hai liberati. 5 Gridarono a te e furono liberati; confidarono in te e non furono delusi.

Nonostante la situazione presente, si sa che Dio veglia e porta salvezza. Eppure qui c’è un uomo solo, abbandonato e disprezzato:

6 Ma io sono un verme e non un uomo; il vituperio degli uomini e disprezzato dal popolo. 7 Tutti quelli che mi vedono si fanno beffe di me, allungano il labbro e scuotono il capo, 8 dicendo: «Egli si è affidato all’Eterno; lo liberi dunque, lo soccorra, poiché lo gradisce».

In Matteo 27 leggiamo infatti che tutti, persino i ladroni crocifissi anch’essi, si fanno beffe di lui in quel modo. Gesù, usando un modo di dire italiano, è nudo “come un verme” sulla croce.

9 Certo, tu sei colui che mi hai tratto fuori dal grembo materno; mi hai fatto avere fiducia in te da quando riposavo sulle mammelle di mia madre. 10 Io fui affidato a te fin dalla mia nascita; tu sei il mio Dio fin dal grembo di mia madre. 11 Non allontanarti da me, perché l’angoscia è vicina, e non c’è nessuno che mi aiuti. 12 Grandi tori mi hanno circondato, potenti tori di Bashan mi hanno attorniato; 13 essi aprono la loro gola contro di me, come un leone rapace e ruggente.

Le parole di Davide, l’autore del salmo, si adattano sia alla condizione di Gesù sia a quella di Davide stesso, nel momento in cui era perseguitato da Saul e solo. Finora una “coincidenza”. Ma vediamo ciò che segue:

14 Sono versato come acqua, e tutte le mie ossa sono slogate; il mio cuore è come cera che si scioglie in mezzo alle mie viscere. 15 Il mio vigore si è inaridito come un coccio d’argilla e la mia lingua è attaccata al mio palato; tu mi hai posto nella polvere della morte. 16 Poiché cani mi hanno circondato; uno stuolo di malfattori mi ha attorniato; mi hanno forato le mani e i piedi.

“Mi hanno forato le mani e i piedi”? Questo NON è Davide perseguitato da Saul! Certo, ne ha passate di brutte, ma le ossa slogate, il cuore che si scioglie come cera (ricordiamo l’acqua mista a sangue che esce dal fianco di Gesù – Giovanni 19:34), la polvere della morte e tutto il resto sono la condizione di un uomo crocifisso e di certo Davide non è mai stato crocifisso! Il seguito lo conferma:

17 Io posso contare tutte le mie ossa; essi mi guardano e mi osservano. 18 Spartiscono fra loro le mie vesti e tirano a sorte la mia tunica.

Non è una crocifissione qualsiasi, ma quella di Gesù! Un fatto previsto da secoli,  come Gesù ricorda a chi lo ascolta. E vuole dire: “Nel mio supplizio sembra che io sia abbandonato, ma è cosa già scritta da gran tempo per un altissimo fine. Ora capite il senso del Salmo 22?”

19 Ma tu, o Eterno, non allontanarti; tu che sei la mia forza, affrettati a soccorrermi. 20 Libera la mia vita dalla spada, l’unica mia vita dalla zampa del cane. 21 Salvami dalla gola del leone e dalle corna dei bufali. Tu mi hai risposto. 22 Io annunzierò il tuo nome ai miei fratelli; ti loderò in mezzo all’assemblea.

“Tu mi hai risposto”! Gesù sulla croce ci dice che il Padre gli ha risposto, per salvarlo dal cane, dal leone, dai bufali, cioè dagli aguzzini e dalla gente che si fa beffe di lui meno di una settimana dopo averlo trionfalmente accolto a Gerusalemme. Il Padre lo salva dai nostri peccati di cui sta pagando il riscatto. Ed esorta i presenti e coloro che sempre leggeranno le sue parole:

23 O voi che temete l’Eterno, lodatelo; e voi tutti, discendenti di Giacobbe glorificatelo; e voi tutti, o stirpe d’Israele, temetelo. 24 Perché egli non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione dell’afflitto, e non gli ha nascosto la sua faccia; ma quando ha gridato a lui, lo ha esaudito. 25 Il motivo della mia lode nella grande assemblea sei tu; io adempirò i miei voti in presenza di quelli che ti temono. 26 I bisognosi mangeranno e saranno saziati; quelli che cercano l’Eterno lo loderanno; il vostro cuore vivrà in eterno.

Un messaggio a “tutti coloro che temono l’Eterno”, ebrei e non, cui segue un accento particolare per gli Israeliti. I versetti finali sono una affermazione di trionfo e di fede illimitati. Un potentissimo messaggio a tutta l’umanità.

27 Tutte le estremità della terra si ricorderanno dell’Eterno e si convertiranno a lui, e tutte le famiglie delle nazioni adoreranno davanti a te. 28 Poiché all’Eterno appartiene il regno, ed egli signoreggia sulle nazioni. 29 Tutti i ricchi della terra mangeranno e adoreranno; tutti quelli che scendono nella polvere e che non possono mantenersi in vita s’inchineranno davanti a lui. 30 Una posterità lo servirà, si parlerà del Signore alla futura generazione. 31 Essi verranno e proclameranno la sua giustizia a un popolo che deve ancora nascere, e che egli stesso ha fatto.

Altro che sentirsi abbandonato dal Padre! È il messaggio della redenzione e della salvezza rivolto a tutte le famiglie delle nazioni! Una affermazione di potenza assoluta che viene da un uomo morente, apparentemente solo, straziato dal supplizio della croce, con il quale si intendeva togliere al condannato anche la dignità. Ma quell’uomo ci dice che Dio – proprio il contrario di averlo abbandonato – non solo salva lui, ma – per mezzo di lui – tutti i popoli, tutte le nazioni, tanto i ricchi quanto i poveri.

Gesù, nelle sue ultime parole, afferma fede e trionfo, non sconfitta e sfiducia.

Non dimentichiamo che questo è un Salmo di Davide. E, se pure non fosse Davide l’autore dei salmi, come alcuni increduli argomentano, è comunque un testo conosciuto secoli prima di Cristo! Ma si adatta perfettamente a Gesù sulla croce. Come è possibile? È “come se” Davide avesse scritto il Salmo 22 perché Gesù potesse spiegarlo con le sue ultime umane forze negli istanti finali.

“Come se”? In realtà, a questo punto, pensare che Salmo 22 e crocifissione siano parte di un messaggio integrato e coerente non è un atto di fede, ma la spiegazione più ragionevole! Le ultime parole di Gesù sulla croce sono rivolte a noi, e sono un messaggio di salvezza. Incredibilmente, i tanti ebrei presenti – inclusi i seguaci di Gesù – pur istruiti nelle scritture, non lo capiscono, nonostante si trattasse di un brano a loro conosciuto, accecati da chissà quali sentimenti: la tristezza, la paura, per altri il timore di perdere qualche ruolo, di inimicarsi i Romani e così via. O per quel disegno divino esposto in Romani 11.

Ma noi, riusciamo a capire il messaggio di Gesù, pagato con la sua vita? O siamo similmente accecati da cento cose “più importanti” del nostro personale e unico salvatore?

E qui, dovremmo tornare a parlare del centurione che disse: “Veramente costui è figlio di Dio”. Ma lo faremo un’altra volta. Per oggi chiudiamo invitando chi ci legge a pensare alla grandezza delle cose di cui parliamo quando diciamo “Buona Pasqua”. La Pasqua di Resurrezione è un fatto immenso, immediato adempimento della parole finali del Salmo 22. Pasqua è libertà e gioia fin dalla sua istituzione a ricordo dell’uscita del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto. E, specificamente, la parola ebraica “pesach” indica il “passare oltre” dell’angelo della morte davanti ad ogni casa di Ebrei, sulle cui porte – secondo le istruzioni impartite da Mosè – c’era il sangue dell’agnello ucciso per l’occasione. Gesù viene a Gerusalemme per celebrare quella Pasqua. E’ lui stesso l’agnello sacrificale il cui sangue fa sì che la morte possa passare oltre anche a noi e il nostro cuore viva in eterno (versetto 26). Ci libera pertanto dalla morte e dalla schiavitù del peccato. Dalle due Pasque arriva un unico messaggio, non una ripetizione dello stesso messaggio, ma un unico messaggio integrato. Celebrando la “pasqua cristiana”, includiamo anche quella ebraica, sia nel significato sia nel fatto storico: senza l’uscita dal Paese d’Egitto non sarebbe esistito il popolo da cui doveva nascere Gesù.

Chi volesse seguirci ancora, per scoprire altri messaggi sorprendenti della Bibbia, ci scriva qui.

E… “Buona Pasqua”!

Lucio

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